La versatilità del capitalismo non ha limite, salvo l’estinzione della specie e il collasso del pianeta. Però, mentre questo succede, i suoi cambiamenti si accelerano in cerca di un maggior tasso di sfruttamento e incremento degli utili.
Se la lotta per l’appropriazione del plusvalore è una delle caratteristiche della contraddizione capitale-lavoro, oggi ci troviamo di fronte a una reinvenzione delle forme di dominazione, alienazione dell’eccedente e costruzione di egemonia. Il capitalismo digitale si aggiorna utilizzando le nuove tecnologie durante la pandemia del Covid-19.
Se ricorriamo alla storia, è un processo simile a quello sofferto dal capitalismo storico tra i secoli XVI e XVIII, dove la proto-industrializzazione e le scoperte scientifiche accelerarono il processo di accumulazione del capitale e la rivoluzione industriale.
Le sue fasi vanno dal capitalismo coloniale, la schiavitù fino all’imperialismo e al consolidarsi della dipendenza industriale, tecnologica e finanziaria. Tuttavia, la sua evoluzione ha avuto battute d’arresto.
I progetti d’emancipazione anticapitalisti hanno ribaltato i suoi piani, anche se solo in forma momentanea. Le lotte di resistenza, i processi rivoluzionari e i movimenti popolari hanno alterato il loro itinerario, obbligandolo a retrocedere. Il XX secolo ha lasciato un’impronta difficile da cancellare nel suo sviluppo.
Ci sono state due guerre mondiali, seguite dall’olocausto nucleare non esente da cospirazioni, colpi di stato e processi di destabilizzazione i cui effetti riconosciamo in una crescita esponenziale della disuguaglianza, la fame, la miseria e il sovra-sfruttamento di un terzo della popolazione mondiale. In questo percorso, il fascismo, asse della modernità, si proietta nel XXI secolo.
Il neoliberismo assume i suoi princìpi e i governanti adottano i suoi proclami con un appello alla xenofobia, al razzismo e al discorso anticomunista. Come ha segnalato George Mosse nel suo saggio La nazionalizzazione delle masse, Hitler e il nazismo si spiegano con un simbolismo, una liturgia e un’estetica che catturò la popolazione sotto il culto del popolo. Una nuova politica che attrasse non solo i nazionalsocialisti, ma anche membri di altri movimenti che trovavano il suo stile attraente e utile per i propri propositi. Leggasi Trump, Bolsonaro, Piñera o Duque.
In pieno XXI secolo, assistiamo a tempi convulsi. Il capitalismo cerca la sua ri-sistemazione. Far fronte ai problemi di organizzazione, costi di sfruttamento e riaggiustare la funzione del governo nella gestione privata del pubblico. E deve pure pensare a una nuova divisione internazionale dei mercati, della produzione e del consumo. Si ricorre alla digitalizzazione, ai big-data, alla robotizzazione e alle tecno-scienze per rispondere alle logiche del capitale. E pure la dinamica della complessità applicata al processo produttivo marca delle pause nella specializzazione flessibile, la delocalizzazione e il processo di presa delle decisioni.
La realtà aumentata accelera la concentrazione delle decisioni e l’accesso immediato ai dati modifica le logiche di un potere che si fa più arbitrario, violento e ampio. Lo spostamento del comando reale del processo decisionale verso una zona grigia, di difficile accesso, facilita l’elusione delle responsabilità politiche oppure le nasconde sotto il mantello della post-verità o le bugie in rete.
La transizione dal capitalismo analogico a quello digitale è già una realtà. Alcuni esempi ce lo indicano. Basta vedere il messaggio lanciato da Inditex in Spagna. Il proprietario di Zara, benefattore della sanità pubblica, farà scomparire più di 1.200 negozi in tutto il mondo, dietro la necessità di stare in sincronia con le nuove forme di compra-vendita on line. Così, realizzerà un investimento di mille milioni di euro nella sua riconversione digitale in due anni (2020-2022), destinando 1.700 milioni alla trasformazione dei suoi locali verso il concetto di negozio integrato. Un servizio permanente al cliente là dove si trovi.
In altre parole, avrà nel suo dispositivo portatile un’applicazione di Zara. In questa versione digitale del capitalismo, un altro dei cambiamenti che è venuto e che rimarrà è il telelavoro o lavoro in casa. Un giro di vite allo sfruttamento eccessivo. Gli orari, la disciplina e il controllo li esercita il lavoratore su se stesso, e questo presuppone un elevato livello di stress e giornate illimitate.
In quanto all’istruzione, solo nelle università si prende in considerazione l’idea di organizzare le classi in aule con lezioni virtuali. Le lezioni in presenza andranno perdendo peso, fino a offuscare il senso che le ha viste nascere: formare cittadinanza e apprendere il valore della critica collettiva. L’università si ridurrà a rilasciare titoli dove l’apprendimento diventa autodidattismo.
Il capitalismo post-pandemia accelera il cambiamento del mondo quotidiano. Le firme digitali, le videoconferenze, il controllo biometrico, le diagnosi col computer, sono alcuni dei cambiamenti che finiranno per generare una modifica antropo-biologica dell’essere umano. E forse in questo senso, la lenta sostituzione del denaro contante con il pagamento con le carte sarà fonte non solo di maggior controllo sociale e potere delle banche, supporrà una maggiore esclusione sociale. Chi avrà e chi non avrà carte di credito o debito. La Svezia annuncia che la carta moneta si estinguerà entro il prossimo decennio.
Più poveri, più schiavi delle banche. Questo è il futuro incerto del capitalismo che verrà dopo la pandemia.
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