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Con Dana e il popolo della Val Susa in lotta contro il Tav!

La vicenda di Dana è lo specchio della “democrazia borghese” e della sua articolazione giudiziaria in questo Paese. Dana é stata condannata a due anni di reclusione in Cassazione, la Magistratura di Sorveglianza le ha negato la possibilità delle pene alternative alla prigione, il tutto per dei fatti che risalgono a 8 anni fa.

Questa “democrazia”, come avviene spesso quando incontra forze alternative e popolari che ne mettono in discussione alcune scelte di fondo, facilmente abbandona i propri principi della “giustizia formale”.

Le responsabilità individuali in conseguenza di atti da accertare e del contesto in cui si sono sviluppati, sembrano elementi secondari. Passa invece a condannare un intero movimento ed i suoi singoli componenti all’interno delle sentenze che perseguono gli individui per la loro “affiliazione ideologica”, che per la loro reale condotta criminosa e lo rivendica apertamente.

É il principio della “colpa d’autore” modellata all’attuale fase dello scontro politico nel nostro Paese.

In una fase di crisi economica che perdura ormai da anni e la potenziale “bomba sociale” causata dalle conseguenze del Covid 19, con lo sblocco dei licenziamenti previsto a novembre ed una tuttora difficile gestione di tutto il comparto dell’istruzione, sembra imprescindibile per la classe dominante neutralizzare ogni focolaio che possa accendere un contesto sempre più “instabile”.

Attraverso i suoi apparati la classe dominante cerca di neutralizzare preventivamente la variabile del conflitto sociale dagli scenari di una comunque già di difficile governabilità, perseguendo a 360 gradi gli attivisti e le attiviste che in questi anni non hanno piegato la testa.

La pena detentiva è stata data nonostante Dana sia incensurata, abbia un lavoro con ruoli di responsabilità e sia socialmente ben inserita. Le sono state negate le pene alternative, per un reato che al minimo della pena può valere 15 giorni reclusione.

Sembra anzi che il Tribunale di sorveglianza torinese, nella figura di Elena Bonu, contesti esattamente il suo inserimento sociale: si evidenzia la “non presa di distanza dal movimento No Tav” che porta ad una “devianza sociale nata da ideologie di natura politica” e la collocazione geografica della sua casa:

La vicinanza di tale luogo al luogo di dimora della condannata, la espone al concreto rischio di frequentazione di soggetti coinvolti in tale ideologia e di partecipazione alle conseguenti iniziative di protesta e dimostrative che, dopo le stringenti limitazioni imposte dal lockdown, potrebbero in futuro diventare più frequenti in misura proporzionale alle decisioni programmatiche del Governo Centrale in merito alla prosecuzione dei lavori sulla linea ferroviaria”.

L’incremento delle infrastrutture costituisce uno dei fulcri del programma di governo per ottenere i fondi destinati all’Italia dal Recovery Fund europeo, su cui si giocherà una feroce partita per la sua ripartizione.

Nella procura torinese è stato infatti da anni costituito un “pool anti-No Tav” che si impegna a contrastare il movimento portando ad un aumento esponenziale di condanne emesse, una sproporzione degli attivisti coinvolti e di reati contestati al limite del ridicolo (ricordiamo l’accusa di terrorismo ad alcuni attivisti per aver manomesso un compressore).

Due anni di carcere per aver partecipato a un presidio nel 2012, insieme a centinaia di altri manifestanti (tra cui Nicoletta Dosio, condannata per lo stesso motivo a un anno di detenzione) ad un casello autostradale in cui era stata alzata la sbarra per far passare gratuitamente gli automobilisti.

Non si può parlare neanche di blocco stradale, aggravato nelle pene dai recenti decreti Salvini, ma solo di un danno economico nei confronti della società gestrice del tratto autostradale di circa 777 euro e già rimborsato.

Ogni giorno di carcere corrisponde in sostanza a un euro perso dalla società autostradale in quella giornata. E stiamo parlando di una società responsabile di vere e proprie stragi – come quella del “Ponte Morandi” a Genova – a causa della mancata manutenzione dei suoi impianti, il tutto per elargire sempre più dividendi ai suoi azionisti: veri beneficiari della privatizzazione della rete autostradale.

Ci uniamo al coro delle tante voci che hanno espresso solidarietà a Dana ed al “popolo no tav” colpito dalla repressione, pronti a mobilitarci come facciamo da anni a fianco di chi lotta con tenacia contro la realizzazione di questa “grande opera inutile”.

A SARÀ DURA!

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