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No a Draghi, no al gattopardismo tecnocratico

Quanti sono i Draghi? Chi arriva è forse il sacerdote delle privatizzazioni e del rigore finanziario che ci ha regalato trent’anni di declino in bilico fra austerity e salvataggi di banche?

Oppure arriva quello che invece nel 2020 auspica livelli di debito pubblico molto più elevati e va contro l’austerity? O arriva quello recente del G30 che parla di default selettivo?

Sappiamo quali sono i Draghi che ci sono stati, ma dobbiamo sapere quale Mario Draghi ci sarà.

Se si forma la maggioranza su un programma vetero-europeista (come quello che il M5S ha abbracciato da un po’ di tempo in qua rovesciando la propria storia), il compito di Draghi è il ‘pre-default selettivo dell’Italia’. Ossia, dopo una caduta del 9 per cento del PIL, scegliere chi far sopravvivere e chi sacrificare. Non ci sono montagne di miliardi in vista con il c.d. Recovery Fund.

Non è nemmeno un Piano Marshall. Questa è una strabiliante propaganda con cui la politica italiana si è auto-intossicata. Sarà un apporto di gran lunga più modesto. Avremo un saldo reale di poche decine di miliardi spalmati in cinque anni, ben tardi rispetto alla crisi già innescata. Cosa farà Draghi?

Farà scelte politiche. Ad esempio salvaguardare alcuni asset strategici della nostra alta borghesia nazionale, rafforzare alcuni presidi in mano a entità straniere, salvare la struttura industriale del Nord integrata nella catena del valore tedesca (quindi ecco dentro la Lega “giorgettizzata”, che entra per questo e non per altri motivi). Chi difenderà il Meridione e le isole?

A Draghi sarà temporaneamente consentito di fare deficit. In contropartita, dovrebbe assicurare che i ceti medio-bassi scivolino verso un’ulteriore “proletarizzazione”. Ampi settori economici, nell’imprenditoria, piccola e micro, sarebbero abbandonati al loro destino. L’economia di prossimità sarà sacrificabile. Chi non regge il passo, sarà sacrificato e assorbito, magari dai grandi giganti del web. In cambio, qualche sussidio. Ecco perché Draghi vuole perfino potenziare il reddito di cittadinanza.

Un bel reset per preservare i processi di innovazione dall’intromissione degli “Stati” per lasciarli in mano alle élite tecniche, economiche, finanziarie.

Recentemente Draghi ha previsto la necessità di una distruzione selettiva via mercato delle “imprese zombie”. In qualità di presidente del “Gruppo dei 30” (un’organizzazione di finanzieri e accademici con sede a Washington fondata dalla Rockefeller Foundation), Draghi ha stilato una relazione piena di ricette per il mondo post Covid. L’idea: niente soldi per tenere in piedi le aziende virtualmente vicine al fallimento, le “aziende zombie”. Tutto molto razionale, tutto pronto a sacrificare centinaia di migliaia di piccole imprese oggi in ginocchio, che subiranno la “distruzione creativa”.

Peccato che – quando guidava la BCE – Draghi le aziende zombie le avesse in simpatia, purché grosse. Per anni sono passati sul suo tavolo contratti swap con la Federal Reserve in modo da far avere vagonate di miliardi all’azienda zombie più grande della Germania, la Deutsche Bank, nonché coprire tutte le acrobazie speculative terminali di altre banche superfallite.

Non solo. Draghi nel 2016 ha attivato il programma CSPP, con il quale la BCE acquista obbligazioni private anche sul mercato primario oltre che sul secondario (ben 250 miliardi acquistati finora). Tutti i titoli spazzatura sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Per certi zombie il rigore si applica, per altri si interpreta.

È un gattopardismo tecnocratico che snatura anche i partiti fino a renderli legni marci alla deriva. Il MoVimento 5 Stelle, che proprio in questa legislatura ha avuto la forza più grossa, ha nondimeno rinunciato a guidare la politica economica (da anni già in mano a un pezzo di governo tecnico). Lì non abbiamo mai toccato palla. La toccheremmo ancora di meno.

Illuso, molto illuso chi crede che una volta che si faccia compromettere nel disegno di Draghi lo potrà “controllare” meglio. Verso il fondatore Beppe Grillo non sono irriconoscente. Ma lui è irriconoscibile.

Non siamo nati per assecondare tutto questo, ma per contrastarlo e cambiarlo. Ritengo che dovremo tenerci fuori da questa formula di governo. Serve ancora OPPOSIZIONE a questo modello sociale, oggi proposto dal suo sacerdote più esperto, Mario Draghi.

L’opposizione in questo caso è il miglior servizio che possiamo fare ai cittadini, ricreando una forza popolare, oggi totalmente offuscata da un nuovo pezzo di partitocrazia impotente, un’oligarchia per conto d’altri. Dire NO è una questione di buon senso democratico e significa costruire un futuro diverso.

*Deputato M5S

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