Domenica 7 febbraio il popolo ecuadoriano è stato chiamato alle urne per le elezioni presidenziali ed il rinnovo di parte del Parlamento. Con il 98% dei voti scrutinati, il candidato correista Andrés Arauz della coalizione progressista Unión por la Esperanza ha ottenuto circa il 32,20% delle preferenze e fronteggerà Carlos “Yaku” Pérez (19,92%), candidato del movimento indigenista Pachakutik, al ballottaggio che si terrà il prossimo 11 aprile.
Il dato rilevante che emerge da questi risultati è la sconfitta elettorale della destra neoliberista capeggiata dal banchiere Guillermo Lasso (19,60%), rappresentante dell’alleanza CREO-PSC, sostenuto anche dal presidente uscente Lenin Moreno.
Nel corso delle ultime settimane, si sono susseguiti gli attacchi della macchina mediatica del fango contro il candidato correista Andrés Arauz e si sono intensificate le ingerenze politiche pianificate dai gruppi nazionali ed internazionali al servizio degli interessi delle forze imperialiste statunitensi per prepararsi a millantare presunti brogli elettorali e destabilizzare il contesto politico e sociale prima e durante la tornata elettorale.
Gli anni del governo di Lenín Moreno, il quale ha tradito gli ideali socialisti del Correismo attuando una serie di politiche neoliberiste e svendendo il Paese ai capitali internazionali, hanno determinato una pesante regressione sociale e un impoverimento delle classi popolari.
Nell’autunno del 2019 il malcontento popolare era esploso in gigantesche manifestazioni di protesta contro il cosiddetto “paquetazo” – la prima versione di riforme improntate all’austerità che Moreno aveva contrattato con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) – tanto da costringere il governo a lasciare temporaneamente la capitale e a ritirare il pacchetto di misure economiche.
Le condizioni del paese si sono aggravate ulteriormente con la pandemia di Covid-19. Le drammatiche immagini dei morti Covid nelle strade di Guayaquil e il collasso del sistema sanitario, il deterioramento della struttura produttiva ed economica nazionale, la profonda contrazione dell’intervento statale in particolare in ambito sociale e il crescente indebitamento estero – prima con il FMI e poi con la Development Finance Corporation (DFC) statunitense – rappresentano l’eredità neoliberista che rischia di condizionare le possibilità future del Paese.
Il governo di Lenin Moreno ha approfittato della pandemia per perseguire la sua agenda neoliberista, approfondire la precarietà del lavoro e favorire le privatizzazioni. Ad esempio, il prestito con il DFC è condizionato all’ingresso di investimenti privati in aziende pubbliche nei settori del petrolio, dell’elettricità, dei trasporti e delle telecomunicazioni, mentre chiede di tagliare i legami con gli investimenti cinesi per quanto riguarda lo sviluppo della tecnologia 5G.
Un governo guidato da Andrés Arauz rappresenterebbe immediatamente una rottura con la precedente amministrazione, poiché il candidato correista ha dichiarato che non intende rispettare le condizioni inserite nel piano di salvataggio economico “negoziato” da Lenin Moreno con il FMI per l’erogazione di 6,5 miliardi di dollari nel 2020, definendo “draconiani” gli aggiustamenti alla spesa pubblica imposti dal FMI.
Il risultato elettorale in Ecuador rappresenterebbe un’ulteriore sconfitta per l’ordine neoliberista e le forze imperialiste in America Latina, in un continente negli ultimi anni protagonista di un fortissimo scontro di classe: la vittoria di Alberto Fernández in Argentina con la sconfitta della destra di Macrì; il ritorno del MAS al governo in Bolivia dopo la parentesi golpista; la schiacciante vittoria elettorale del Gran Polo Patriótico chavista all’Assemblea Nazionale in Venezuela nonostante il criminale blocco economico; le mobilitazioni rivoltose delle masse popolari in Perù e Guatemala duramente represse dalla polizia; le gigantesche proteste in Chile culminate con il referendum che ha visto l’annullamento della costituzione di Pinochet.
Di conseguenza, il ritorno al governo del Correismo in Ecuador si configurerebbe come un rafforzamento delle forze progressiste in un quadrante che sempre più si configura come l’anello debole dell’imperialismo.
Le elezioni in Ecuador hanno anche il potenziale di essere decisive per l’avanzamento dell’integrazione regionale tra i popoli di Nuestra América: Arauz intende ridare all’Ecuador un ruolo chiave in questo processo anche tramite il rilancio dell’UNASUR e il consolidamento della cooperazione politica della CELAC, contro il potere dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), la quale ha avuto un ruolo centrale nel riconoscere “l’autoproclamatosi Presidente” Juan Guaidó in Venezuela o ancora nel legittimare il colpo di Stato in Bolivia a novembre 2019.
Senza ignorare le contraddizioni che qualunque movimento reale si porta dietro, come Rete dei Comunisti non possiamo che vedere con favore questo ennesimo contrattacco delle forze progressiste in America Latina, dopo anni in cui l’imperialismo statunitense e le oligarchie compradore locali avevano tentato di stringere ulteriormente il loro pugno sul continente.
Questi risultati sono la dimostrazione tanto della crisi profonda dell’impero americano, che non può più fare il bello ed il cattivo tempo nemmeno nel proprio “cortile di casa”, quanto della determinazione dei settori popolari latino-americani che, dopo aver visto migliorare drasticamente le proprie condizioni di vita nei paesi in cui a partire dalla fine del secolo scorso si è avviato il ciclo storico progressista, non hanno alcuna intenzione di ritornare schiacciati sotto il tallone dell’imperialismo.
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