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La crisi delle classi dirigenti genera mostri: il populismo antipopulista

È vero che i dati quantitativi sulla criminalità nel corso degli anni sono andati migliorando, ma la percezione che ne hanno i cittadini no. Deve essere la percezione a guidare l’azione, a stimolare un’azione sempre più efficace”. 

La “percezione” e “la sicurezza”, ovvero, due clichés dominanti nella narrazione e nella retorica del populismo reazionario assunti come punto di partenza e “guida all’azione” da Mario Draghi nel suo discorso di inaugurazione da Presidente del consiglio.

E’ un populismo più sottile, ma di tipo paradossale: mentre pare proporsi come argine al populismo, cerca il rapporto diretto tra sè – il capo carismatico – e le masse abbagliate da una ponderosa ed unanime campagna mediatica in suo favore. E tuttavia, non si tratta di un inedito.

In passato, anche un fine e sofisticato giurista come Giuliano Amato ha usato espressioni simili e in più di un’occasione. Molto più recentemente, Marco Minniti, ne aveva fatto un cardine della propria esperienza da ministro degli interni.

Durante il suo mandato disse espressamente: “La sicurezza è un sentire. E la cosa più impegnativa, dunque, è il sentirsi, che è qualcosa di vicino al sentimento. Dove si ragiona con le statistiche non c’è sentimento”. 

E dalle parole passò subito ai fatti sfoderando due decreti che spalancarono le porte alla sperticata demagogia del duo Salvini e Meloni: il decreto legge sulle “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” (sicurezza e decoro) e quello sulle “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” (sicurezza e migranti).

Dunque, le classi dirigenti, quando sanno di essere in crisi di egemonia, si appellano al sentiment, ovvero, agli stati d’animo, alle convinzioni, alle valutazioni che si formano sulla base di sensazioni, emozioni, impressioni. Naturalmente suscitate e concimate da un sistema di media articolato, ma su un’unica nota.

In altre parole, si rivolgono, anch’essi, a modo loro, alla famosa “pancia”. Certo, meglio farlo in modo più felpato, più soft, come direbbe Walter Veltroni (“serenamente, pacatamente”), lasciando ad altri la parte dei farneticatori espliciti ed urlanti, buoni per sbraitare all’opposizione (di sua maestà), ma assolutamente “inadatti” a rappresentare un paese sempre sotto il continuo ricatto del rating, dello spread e dei “mercati” .

Ma sono ruoli complementari.

In fondo, lo spauracchio della “destra sovranista e populista” è stato, ancora una volta, il pretesto – questa volta rovesciato – che tiene insieme Zingaretti e Bersani insieme alla Lega nel sostegno al governo di Mario Draghi. Dal neofrontismo antifascista alla nuova posizione co-inclusiva è stato un attimo.

Ora dicono: è meglio averli dentro che fuori o, peggio ancora, vincitori di una nuova consultazione elettorale e a capo di un governo tutto loro.

Certo, con la faccia del “moderato” Giorgetti, mentre Salvini da fuori prende il posto da picconatore che fu di Renzi nel precedente governo e si prepara a recuperare consensi consentendo alla Lega di tornare a giocarsi il ruolo di partito “di lotta e di governo”, tanto caro al padronato del nord-est che non vuole perdere le indispensabili commesse tedesche.

I bau bau dell’Unione Europea sono sempre e solo roba da teatrino della politica, sull’esempio del primo ministro ungherese Orbàn e di quello polacco, Morawiecki, che scalpitano e sparacchiano ma, poi, non vanno mai da nessuna parte, legati come sono, mani e piedi, ai grandi gruppi dell’economia tedesca.

Insomma, è il solito vecchio gioco delle parti: lo sbirro buono e lo sbirro cattivo. Ma, date le condizioni del paese e le contraddizioni di una compagine governativa che si fonda solo sulla delle delega in bianco conferita da larghissima et variopintissima maggioranza al “grande uomo” della finanza mondiale, non è che le cose si terranno insieme da sole.

Le conseguenze della crisi pandemica mordono e già si respira aria di tumulti. Quando arriverà il momento delle “decisioni irrevocabili” (quelle attese da Unione Europea e Confindustria) sarà di nuovo massacro sociale.

Ma già si vede spuntare il solito bastone dalla manica dell’inappuntabile doppiopetto di Mr. Draghi. Preparatevi, non sarà un pranzo di gala.

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