Le recriminazioni sono inutili e forse prive di senso. L’ambasciatore Luca Attanasio è stato ucciso in Congo proprio dove voleva portare una speranza di vita. Non una morte accidentale, ma la conclusione tragica di un percorso professionale e personale che merita grande rispetto. Non è stata certamente, la sua e quella del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci, una morte per caso.
Si rischia e si muore anche per una giusta causa, come quella di Attanasio, per aiutare con il World Food Programme e la Cooperazione italiana una popolazione devastata dalla guerra, dalla fame e dalle epidemie come Ebola, di cui qui ci siamo scordati a causa del Covid.
Il parco nazionale del Virunga nell’area dei Grandi Laghi è stato il teatro di una guerra tragica che ha coinvolto negli anni Congo, Ruanda, Burundi, un conflitto definito la “guerra mondiale dell’Africa”, dove ai massacri etnici dei civili si sono intrecciate le lotte per l’accaparramento della risorse naturali, come il famoso coltan, il minerale che serve per le batterie di telefoni, tablet, computer.
Ecco come funziona. L’estrazione mineraria in Congo non richiede tecnologie sofisticate: il coltan, ma anche pepite d’oro o diamanti alluvionali o il cobalto di cui il Congo copre il 60% della produzione mondiale, possono essere raccolti anche in superficie o a basse profondità, con il solo uso delle mani. Mani da uomo o anche mani da bambino.
In un Paese destabilizzato da anni di guerra civile questa attività ha portato alla creazione di milizie legate ai signori della guerra e finanziate sottobanco dalle imprese straniere di export, che hanno occupato militarmente le aree più remunerative, combattendosi a vicenda, schiavizzando i minatori e vessando le popolazioni locali.
Un mercato dove la manodopera non costa praticamente nulla ed estrae merce indispensabile a tutte le industrie high tech del mondo. Un mercato illegale sul quale si sono fiondate la Cina e le multinazionali minerarie dell’Occidente.
Il Congo è anche questo. Soltanto nel Kivu vivono oltre 5 milioni di sfollati e nell’ultimo anno ci sono stati 2mila morti, a milioni sono sotto ogni livello di povertà, misurabile in termine di centesimi di dollaro o di euro.
Attanasio, 43 anni, tre figli, moglie africana impegnata nel sociale, è stato ucciso in un mondo che ci fa comodo per le sue risorse a basso costo, ma di cui volentieri ci dimentichiamo.
Il suo convoglio era partito da Goma, capitale del Nord Kivu, ed era diretto a Rutshuru, circa 66 chilometri a nord, per una visita di monitoraggio di alimentazione scolastica del Pam. Il tragitto taglia il Parco nazionale dei Virunga, una delle prime aree protette in Africa, designata dall’Unesco come sito patrimonio dell’umanità dal 1979, coinvolta nelle violenze in corso da decenni nel Nord Kivu.
Negli ultimi mesi le guardie forestali, i rangers, erano diventate l’obiettivo specifici delle milizie armate (Mai Mai) attive anche all’interno del parco.
Le circostanze dell’attacco restano a chiarire: un gruppo armato di cui non è ancora nota l’identità avrebbe attaccato a scopo di rapimento il convoglio, del quale facevano parte almeno due mezzi del Pam. Dopo l’intervento dei ranger sarebbe scoppiato un duro scontro a fuoco, durante il quale Attanasio e Iacovacci sarebbero stati colpiti a morte, così come un autista locale.
La polizia del Nord Kivu ha fatto sapere al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung di essere stata “sorpresa” dalla presenza nell’area dell’ambasciatore Attanasio “senza la protezione della polizia”. Tuttavia, il Programma alimentare mondiale, agenzia dell’Onu, ha precisato che il convoglio attaccato viaggiava su una strada in cui era stato autorizzato il transito senza scorta.
L’ultimo attacco nel Parco nazionale dei Virunga risaliva allo scorso gennaio, quando sei guardie erano rimaste uccise nell’area di Kabuendo.
Dietro la recrudescenza delle violenze potrebbero esserci i crescenti sforzi dei rangers per fermare lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del parco (in particolare carbone e pesce), importante fonte di sostentamento per numerosi gruppi armati.
Le guardie hanno incrementato di recente la propria collaborazione con l’esercito congolese, promuovendo operazioni congiunte e condividendo informazioni d’intelligence.
La rinnovata attenzione delle autorità locali verso il Parco nazionale dei Virunga, famoso per i gorilla, mette inoltre a rischio una delle principali fonti di guadagno delle milizie, ovvero i rapimenti di turisti: negli ultimi tre anni all’interno dell’area sono state sequestrate almeno 170 persone, molte delle quali donne. Una pratica che nell’ottica dei gruppi armati ha anche l’obiettivo di sabotare il potenziale turistico del parco.
I rapporti tra i dirigenti del Parco nazionale dei Virunga e le popolazioni dell’area si sono fortemente incrinati. Gli autoctoni contestano i confini del parco, denunciano appropriazioni indebite di terreno e criticano le regole sull’uso delle risorse naturali.
I gruppi armati, spesso vicini alle più potenti famiglie locali, sfruttano questi conflitti per garantirsi sostegno nelle aree in cui operano. Le forti tensioni hanno portato anche le autorità a erigere una barriera elettrica a protezione del Parco, misura duramente contestata dalla popolazione locale.
Quello nel Nord Kivu è un conflitto complesso, con la presenza di oltre 130 milizie armate, dette Mai-Mai, e l’ingerenza di Paesi vicini quali Ruanda e Uganda. Il termine Mai-Mai (o Mayi-Mayi) si riferisce a qualsiasi tipo di milizia congolese, al di là delle etnie.
Fondate per difendere il proprio territorio dagli attacchi di altri gruppi armati e per resistere alle invasioni di forze ruandesi, congolesi filo-ruandesi, le milizie hanno poi sfruttato la guerra a proprio favore con saccheggi, razzie, banditismo e sequestri.
Gli stati della regione dei Grandi Laghi utilizzano storicamente le milizie per danneggiare gli interessi dei rivali e negli ultimi anni le tensioni si sono intensificate. Le Forze alleate democratiche (Adf) sono una delle milizie più pericolose. E’ un gruppo armato islamista ugandese che da oltre 30 anni ha la sua base in Congo.
Diverse azioni attribuite alle Adf sono state rivendicate negli ultimi anni dallo Stato islamico, sebbene molti analisti restino scettici su una possibile collaborazione tra le due sigle. Dall’inizio del 2019, secondo le Nazioni Unite le Adf hanno ucciso più di mille civili.
In risposta a questa ondata di violenza, alla fine del 2019 le forze armate congolesi hanno avviato un’operazione su vasta scala contro il gruppo islamista nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri.
Ma né l’Onu né le forze congolesi, nel mezzo di una delicata e acuta transizione politica, sono riuscite a dare sicurezza, giustizia e speranza alle popolazioni locali: Attanasio e il suo carabiniere sono morti per queste speranze.
* dal Quotidiano del Sud
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