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2021: muri, covid e fuga dal mondo

Prima era tra Est ed Ovest. Un bel muro col filo spinato e gente che ti sparava addosso se provavi a varcare il confine. Poi venne un muro più invisibile tra Sud e Nord del mondo, non ci sbattevi contro ma morivi ugualmente, in mare il più delle volte, annegato mentre tentavi di raggiungere la costa di un Paese con più risorse del tuo e la Marina di quel Paese affondava la tua imbarcazione.

Oppure, se eri fortunato, trovavi un muro versione 2.0 a un confine, della Bosnia come del Messico, dove ti separavano dalla tua famiglia e, sempre se eri fortunato, ti arrestavano e tenevano come una bestia in catene.

Adesso però è diverso: né tu, né io, nè nessuno può più spostarsi liberamente in giro per il mondo. Non c’è muro, non c’è oceano, non c’è indignazione popolare, non conviene a nessuno spostarsi, lo facciamo per salvaguardare la nostra salute: c’è il Covid.

Meglio premetterlo subito. Chi scrive appartiene al partito dei favorevoli al vaccino, di chi ritiene una assurdità tenere aperte le scuole, di chi ritiene sciocco rischiare la propria e altrui pelle in nome di una “libertà” che nel presente è condizionata essenzialmente dalla facoltà di restare in vita per potersi permettere di tornare liberi.

Se di mestiere però osservi la realtà e la racconti non puoi fare a meno di annotare i fenomeni intorno a te, come quello di cui parliamo qui adesso: la limitazione alla libera circolazione in atto da quando è esplosa la pandemia e le conseguenze che questa ha sul presente e sul futuro.

Una limitazione che va ben oltre le misure per contrastare il Covid se, giovedì 25, anche la Commissione europea ha richiamato gli Stati membri a tornare ad un approccio coordinato sulla libertà di movimento delle persone e delle merci.

Chiediamo di tornare a un’applicazione corretta delle raccomandazioni adottate dal Consiglio Ue. Abbiamo inviato una lettera a sei Stati membri sul divieto di ingresso e uscita dal Paese, perché sono andati troppo oltre”. Possono “scoraggiare i viaggi ma non vietarli”.

Così il commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, a margine del Consiglio Affari generali Ue. I sei Paesi nel mirino di Bruxelles sono Germania, Belgio, Ungheria, Finlandia, Danimarca e Svezia. A questi dobbiamo aggiungere il Regno Unito che fa legge a sé da quando ha deciso di uscire dall’Unione Europea, con conseguente revisione della circolazione di merci e persone.

Ma se su Londra la Ue non ha più potere d’interdizione ce l’ha invece sui sei Paesi citati, che adesso hanno dieci giorni per rispondere alle obiezioni della Commissione.

La preoccupazione delle autorità europee è più rivolta alla libertà delle merci che a quella delle persone, le prime comportano soldi mentre le seconde soltanto fastidi e problemi.

Ma il movimento procede di pari passo: le persone portano le merci, non si possono separare i destini di questi due prodotti del mondo, se rinunci a uno rinunci all’altro; è uno dei pochi casi di reificazione al contrario, anziché ridurre le persone a cose sono le cose a essere ridotte a persone che hanno meno diritti delle merci in quanto costano meno.

Ecco quindi che chi prima da Ovest guardava con supponenza agli Stati-prigione del “Patto di Varsavia” si ritrova improvvisamente in una prigione: dorata ma da cui non si esce.

Ecco che chi sentenziava contro i poveri che attraversavano gli oceani e sfidavano la morte per abbandonare il proprio Paese si ritrova vittima delle stesse limitazioni che voleva imporre agli ultimi della Terra.

Ma quant’è democratico il Covid, che ci riporta tutti alla miserabile condizione di esseri umani indipendentemente dal reddito!

Nelle lettere inviate ai sei Stati che hanno chiuso le frontiere viene ricordata la necessità che le restrizioni alla libertà di movimento siano proporzionate e non discriminatorie.

Perché il confine è esattamente questo: decidere chi può muoversi stabilisce quale razza, quale ceto, quale organizzazione sociale decide per le altre razze, ceti e organizzazioni sociali.

Questo è il punto di non ritorno che, una volta varcato, ci porteremo appresso degli anni del Covid. Potranno muoversi solo coloro che esibiranno un certificato di vaccinazione? Potrà muoversi chi ha il certificato ed è bianco oppure bianco e biondo?

Assisteremo come sempre a una discriminazione nei confronti dei Paesi che per motivi economici e organizzativi, come l’Italia ad esempio, non tengono il passo con le vaccinazioni che si sono accaparrate nazioni con molti più mezzi economici e potere mondiale?

Il certificato sarà necessario, certo, ma la vaccinazione non può diventare un obbligo per viaggiare, dice Bruxelles, intendendo che già sono attive procedure in entrata e in uscita dai rispettivi Paesi relative alla certificazione di negatività al tampone anti Covid. Anche chi non si è sottoposto all’immunizzazione deve poter continuare a muoversi con l’uso dei test e dei periodi di quarantena.

Se si è mossa la Commissione europea la situazione è più grave di quanto possiamo immaginare. La preoccupazione post Covid dei commissari è rivolta al sistema, fragile ma esistente, di abbattimento delle barriere doganali che derivava dall’Europa di Schengen, ormai un pallido ricordo del passato.

Princìpi che sembravano acquisiti tornano in discussione seppur mascherati da esigenza sanitaria, ma di fondo si ritorna al tema fondamentale di chi stabilisce, in base a princìpi sempre arbitrari, chi ha diritto di spostarsi nel mondo. Riducendoci ancora una volta, ancora oggi, ciclicamente a naufraghi senza zattera in attesa di un approdo per tentare di vivere.

Jena Plissken: «L’abbiamo tirata fuori e tanta gente è crepata in quest’azione, che cosa prova nei loro riguardi?»

Presidente: «Eh beh, io… eh, voglio ringraziarli… la nazione è grata per il loro sacrificio… Eh, senta… eh, io vado in onda tra… due minuti e mezzo, vero?»

NOTA PER NON CINEFILI

La citazione è ripresa dal finale di «1997: Fuga da New York» (Escape from New York) diretto da John Carpenter nel 1981.

  * da La Bottega del Barbieri

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