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Riforma della giustizia o privatizzazione del processo civile?

Il principale, se non unico, motivo per cui viene motivata la riforma del processo civile è la riduzione dei tempi delle cause per eliminare l’ostacolo agli investimenti stranieri.

Le modalità e gli scopi della riforma provocano immediate perplessità e lasciano seri dubbi.

Quanto alla riduzione dei tempi – luce attraente ed indiscussa, quanto retorica per ogni riforma – basterebbe estendere il rito del lavoro a quello ordinario come auspicato sin dal 1973. Ma, soprattutto, basterebbe aumentare le risorse, quale il personale giudicante ed amministrativo.

Non vi sono assunzioni di impiegati da circa 30 anni, la loro media di età è superiore ai 55 anni, durante la settimana molti uffici restano chiusi ed inattivi per mancanza di personale di cancelleria.

In pratica, la cura starebbe già nella ricerca delle ragioni delle lungaggini giudiziarie.

Quanto agli investimenti stranieri si afferma che gli imprenditori stranieri non investono in Italia poiché i tempi della giustizia italiana sono troppo lunghi.

E’ un sillogismo a dir poco singolare.

I tempi della giustizia vanno ridotti per i loro interessi e non per quelli dei cittadini italiani ?

L’investimento straniero nell’economia nazionale è in anticipo patologico per cui necessita il ricorso in tribunale ?

Sarebbe come affermare che i turisti stranieri non vengono in Italia poiché la sanità funziona male.

Non è credibile.

Sicuramente i motivi per allettare gli investimenti stranieri sono altri.

Uno potrebbe essere l’investimento proprio nella giustizia.

Il processo civile costituisce una fonte di guadagno per le casse dello Stato. Tasse, bolli, marche, iscrizioni a ruolo, registrazioni degli atti all’agenzia delle entrate, ecc. sono entrate non indifferenti.

Il bilancio finale annuo riporterebbe che con il 10% delle entrate si coprirebbero tutte e le intere le spese della macchina giudiziaria italiana.

In sostanza, la giustizia civile italiana produrrebbe un profitto netto del 90%. Un saggio ben superiore rispetto agli altri settori economici.

Al momento, il guadagno resterebbe nelle casse dello Stato (forse diretto al D.A.P.), ma in caso di privatizzazione – come è avvenuto in altri settori, a partire dalla telefonia, autostrade, ecc. – il profitto andrebbe ai privati.

Basterebbe creare tribunali privati, come è previsto con le società di mediazione che gradualmente avranno poteri decisionali e l’affare è fatto.

L’odierno progetto di riforma si concentra proprio su tali società e competenze.

Il guadagno sarà assicurato dalle clausole che verranno apposte ai contratti. Oggi si determina il luogo del tribunale competente, domani sarà inserita la specifica società di mediazione a cui doversi obbligatoriamente rivolgere (che spesso è di proprietà della parte contrattuale forte che, quindi, farebbe anche da giudice).

Così, quel 90% di milioni di euro non saranno più dello Stato.

A quella torta di ricchezza pubblica oggi mirano gli investitori stranieri.

La cui invocazione – a volte ossessionante – da parte dei riformatori cela altri motivi.

Quelli della privatizzazione della giustizia.

*avvocato

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