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Ma quale patente a punti, per fermare la strage bisogna colpire la criminalità imprenditoriale

Mentre continua e si estende il massacro sul lavoro, le imbarazzate, impotenti e complici parole delle istituzioni si mescolano con quelle confuse e inutili dei dirigenti di CGIL CISL UIL.

Ultime di queste vane parole sono quelle che hanno lanciato la “patente a punti” per gli appalti. Nella sostanza, per concorrere ai lavori in appalto un’azienda dovrebbe avere un punteggio “virtuoso” sugli infortuni.

La validità di questa proposta per fermare la strage di lavoratrici e lavoratori è la stessa della lotteria degli scontrini contro l’evasione fiscale. Con l’aggravante che qui sono in gioco le vite, e non solo i soldi. Ben altro che queste sciocchezze mediatiche sarebbe necessario per tutelare la salute e la vita di chi lavora.

Prima di tutto ci vuole la consapevolezza che le morti di lavoro non sono eccezioni, ma la normalità di un sistema che ha schiacciato la persona sotto i vincoli ed i ritmi insani del profitto. Un sistema criminale di massa, dove l’eccezione è l’imprenditore in regola e la normalità quello che viola leggi e contratti.

Come denuncia lo stesso Ispettorato del Lavoro che, riprendendo Basaglia, ha chiamato “crimini di pace” la strage sul lavoro. Negli ultimi controlli effettuati in aziende da Prato a Milano, tutte – lo ripeto:  tutte – risultavano fuorilegge.

Senza la consapevolezza della criminalità imprenditoriale diffusa e dilagante in fabbrica e nel territorio si continuerà a morire. Ci vogliono misure adeguate alla gravità di quanto accade, misure che servano anche a recuperare la colpevole rinuncia dei governi, ad esempio di quello di Renzi, a tutelare la salute di chi lavora.

Bisogna assumere non duemila, come sta propagandando Orlando, ma almeno quindicimila ispettori del lavoro per avviare un’opera seria e programmata di ispezioni. E naturalmente ci vuole una volontà politica perché tutto il sistema dei controlli funzioni, perché non sia complice delle imprese, ad esempio avvisandole prima dei controlli.

La lotta ai “crimini di pace” sul lavoro dovrebbe avere avere la stessa gestione unificata e centrale di quella che c’è contro la mafia. Occorrerebbe una procura nazionale sulla sicurezza sul lavoro, come aveva proposto il procuratore Guariniello, che servisse anche ad uniformare i comportamenti della magistratura, troppo spesso inadeguati e deboli.

Bisogna agire sulla catena degli appalti e dei subappalti, intanto accorciandola, reintegrando nelle aziende committenti molte attività, e in ogni caso estendendo ai vertici di essa le responsabilità per gli infortuni.

A tale scopo la USB ha presentato un progetto di legge popolare per colpire in modo adeguato il reato di omicidio sul lavoro, così come oggi c’è una legislazione specifica sull’omicidio stradale.

E smettetela di parlare di “morti bianche”, anche le parole sono complici quando attenuano e nascondono la realtà di quelli che sono puri e semplici omicidi.

L’INAIL ha annunciato che, se sono in aumento le morti sul lavoro, sono però in diminuzione gli infortuni. Ecco un altro dato che mostra il degrado del sistema.

Perché la realtà è un altra e cioè che le aziende denunciano solo gli infortuni particolarmente gravi, quelli che – come gli omicidi – non si possono nascondere. Gli altri diventano “malattia a carico del lavoratore”. “Dì che ti sei ferita mentre cucinavi”, “di che sei caduto da un scala a casa tua”, altrimenti quella è la porta. Così si riducono gli infortuni nell’epoca del lavoro precario e ricattato.

Altro che patente a punti, bisogna ridare i diritti a chi lavora, con la riduzione dei contratti precari, il ripristino dell’articolo 18, l’abolizione del ricatto del permesso di soggiorno sui migranti, così sarebbero i lavoratori stessi ad avere più forza nel difendere la propria salute.

Si parla a vuoto di prevenzione e si blatera di corsi di formazione. Non che questi non servano, certo, ma se poi il lavoratore viene precipitato in una bolgia di precarietà e sfruttamento i corsi diventano una beffa. Servono solo ad elencare ciò che si deve ignorare per non perdere il posto.

Certo che bisogna prevenire, bisogna ricostruire la centralità della lotta per la salute nei luoghi di lavoro, ma per questo bisogna ridare diritti a chi lavora e togliere potere all’impresa.

Chi lavora ha il diritto di tornare a casa la sera sano, ma se tutto il sistema ogni minuto gli impone di scegliere tra lavoro e salute, prima o poi a casa sano non ci torna.

Questa è la realtà della strage criminale di lavoratori, tutto il resto è ipocrisia e complicità con lo sfruttamento che uccide.

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