Alcune anime belle della sinistra nostalgica belano in questi giorni, giacché secondo loro “non bisognerebbe paragonare l’Afghanistan al Vietnam“.
Messa così, la questione è oziosa ed inutile: ci pare ovvio che non c’è paragone fra il popolo vietnamita in lotta ed i talebani. Ma, se non si confrontano le due nazioni, ma le due sconfitte degli imperialisti USA, le conseguenze internazionali del disastro, non si possono non vedere le similitudini, sempre si conosca un po’ la storia.
Dal punto di vista degli americani è stato oggi un disastro analogo o forse peggiore del Vietnam.
Anche qui hanno invaso 20 anni fa un paese con penosi pretesti, degni della Germania nazista con la Polonia nel 1939. Ma quale “guerra al terrore“, ma quali “diritti umani e delle donne“!
In Vietnam fu per “fermare l’espansionismo comunista“, in Afghanistan è stato per il gasdotto, per “fare ammuina” dopo lo smacco del 11/9, per il litio e altre risorse, e per alimentare l’unica modalità con cui si alimenta la loro economia: la guerra.
La predazione delle risorse naturali altrui. E il genocidio di altri popoli, base fondante della loro nazione. Per controllare l’oppio. Per riaffermare la loro predominanza verso i paesi schiavi militarmente della NATO, in primis la scodinzolante Italia che non si è fatta pregare a buttare a piene mani risorse e vite dei soldati italiani.
Agli americani, delle donne afghane “importa sega”: finché sono stati là per i loro motivi, hanno lasciato che gli afghani si baloccassero con un’illusione. Poi, quando “non c’hanno più avuto la loro convenienza“, tanti saluti, e addio core.
Ascoltare adesso tutto l’occidente stracciarsi le vesti per il triste destino del popolo afghano, delle donne specialmente, riempie di ribrezzo, tanta è l’ipocrisia. Ci ricorda, in realtà, più Saviano con le mani sulla bocca per l’uso dei gas in Siria (usato dai “ribelli moderati” di Al Qaeda), più il belare dei pacifinti per i “bambini di Aleppo” (solo dopo che era già stata liberata dalle truppe governative e in pace): bugiardi, ipocriti, abilissimi a piangere lacrime di coccodrillo.
Anche qui gli USA hanno messo su uno stato fantoccio, ricalcato sui loro tanti protettorati, che puzzava di Quisling e di Vietnam del Sud lontano un miglio.
Ricordiamo ancora l’ottimo indossatore di caftani Karzai, presidente per anni di uno stato-burla che aveva giurisdizione sui quartieri centrali di Kabul e poco altro.
Anche qui gli USA hanno finanziato a piene mani – per sostenere militarmente il protettorato – banditi, delinquenti e signori della guerra padroni di bande di miliziani. Del fiume di denaro arrivato nel Paese in questi 20 anni, il popolo ha visto briciole.
Così come avevano foraggiato i “coraggiosi mujaideen” nella guerra precedente, contro la stato afghano socialista. Dai mujaideen, pensate, gemmarono poi i talebani. Che perlomeno, pare, sono interessati soltanto ad avere gli eserciti stranieri fuori da casa loro.
Ci andò peggio quando gli USA finanziarono Al Qaeda, più – diciamo così – interessata alla politica estera, no?
Per quanto tempo ancora il mondo intero deve pagare per la loro politica imperialista, per i loro errori tragici e prevedibili? Sempre che di errore si tratti.
Forse, è una sfrontata exit strategy per mollare un carrozzone costosissimo e mettersi d’accordo con i nuovi padroni del paese per i loro sporchi interessi economici: gasdotto, oppio, litio. Et voilà avremo di nuovo i “Talebani moderati“, come Al Qaeda in Siria. Speriamo in questo caso, che di nuovo venga qualcuno a rovinar loro la festa: Russia, Cina, Iran.
Anche qui gli occidentali sono fuggiti, “addestrando” le truppe dello stato-fantoccio, mollando loro tutti gli armamenti ultramoderni, con risultati ancora peggiori che in Vietnam.
Laggiù il Sud Vietnam resistette da solo per 2 anni, qui, sono bastate 2 settimane. Perché anche qui le truppe collaborazioniste si sono sciolte come neve al sole, e i vari signori della guerra hanno cambiato campo.
Per lo meno, scappando, l’esercito collaborazionista non ha questa volta sganciato le bombe per sbaglio sull’aeroporto, come fecero i “brillanti e coraggiosi” aviatori sudvietnamiti.
Quindi le scene di esodo nel panico, di abbandono dei collaborazionisti, di assalto e caos si sono svolte in aeroporto e con i mega-aerei da trasporto, non con gli elicotteri e dal tetto dell’ambasciata.
Scene davvero epiche e confortanti, con povera gente ammassata sulle scalette degli aerei e tenuta fuori per salvare il culo a noi stessi e a quelli più compromessi, aerei che hanno poi decollato facendosi largo a forza in una pista gremita di disperati.
Ma forse le anime belle hanno ragione: la scena atroce degli assassini occidentali che decollano ben sapendo di avere persone attaccate al carrello, che poi democraticamente e nel rispetto dei diritti delle donne, si sfracellano al suolo, non ci ricorda il Vietnam, dove perlomeno gli americani verificarono di non avere nessuno aggrappato agli elicotteri prima di decollare salvando se stessi e pochi loro amici.
È vero: la scena ci ricorda più l’undici settembre e i corpi che anche allora caddero nel vuoto. Corpi americani o afghani non fa differenza, vero? Siamo tutti esseri umani, vero? Vero?
Vero, odiosi occidentali che con aria di compatimento pensate che non possiamo “farci carico” di tutti i problemi del mondo?
Non vi sfiora l’idea che gli afghani di ieri e di domani, donne e uomini, li avete ammazzati voi, utilizzando appieno la macchina del benessere occidentale, comperando sicurezza e pagando in dignità? Davvero, è un insulto al decoro sentire tutti questi lamentii, come se si trattasse di un disastro naturale.
No, cari voi, anzi noi, noi tutti: siete voi, gli assassini, perché i talebani sono figli vostri, sono “figli nostri”.
E con estrema franchezza ripetiamo, a vent’anni di distanza dall’undici settembre, lo stesso commento di allora: chi semina vento, raccoglie tempesta.
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