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Il crollo dei salari in Italia, una “magia” del mercato

Quando entrai in Sip l’azienda era una partecipata statale che agiva in regime di monopolio.

Era una multinazionale che drenava profitti in giro per il mondo.

Distribuiva utili ai suoi padroni pubblici e privati, regolarmente ogni anno.

Gli ex sindacalisti finivano la loro carriera nel consiglio di amministrazione dell’azienda.

I ministri erano di casa, i politici decidevano le assunzioni, i sindacati trattavano e cogestivano, amministravano carriere e benefit.

La categoria era forte, altamente sindacalizzata, riusciva a imporre condizioni contrattuali invidiabili.

Gli stipendi erano fra i più alti in Italia, la cassa pensioni “separata” erogava pensioni superiori a quelle dell’inps.

Il posto di lavoro si lasciava in eredità ai figli.

Godevamo di una assicurazione sanitaria integrativa di eccellenza che ti rimborsava pure le cure … omeopatiche.

Perfino le vacanze ce le garantiva il cral, a prezzi politici rimborsabili in comode rate mensili.

E c’erano pure gli sconti sulle telefonate quando avere il telefono era un lusso.

Il conflitto era limitato a piccole questioni individuali o locali.

Non si ricordano dipendenti di quell’azienda licenziati a causa della loro attività sindacale o politica.

Al contrario quell’attivita era spesso la chiave per avanzamenti di carriera e passaggi ai livelli di direzione.

Era una aristocrazia che riusciva, per una serie di contingenze particolari, a vendersi bene.

Una aristocrazia corporativa sul piano sindacale che, per la legge che prevede che le idee progressiste allignano meglio nelle teste di chi ha la pancia piena, era fortemente avanzata sul piano politico.

Vivaio di comunisti, di progressisti, di sindacalisti di sinistra.

Quando il “virus” della privatizzazione la colpì, in forma grave, quella categoria non si rese conto che la ricreazione era finita.

Che proprio le libertà e i diritti di cui godeva gli imponevano la responsabilità di farsi carico della parte della classe che questi “privilegi” se li sognava.

E che bisognava adeguarsi alle mutate condizioni.

Si chiuse a riccio nella difesa di ciò che aveva, fottendosene di ciò che gli succedeva attorno.

Non ci fu un minuto di sciopero.

Caso forse unico nella storia del capitalismo di Stato italiano, la resistenza all’assalto alla diligenza da parte dei “capitani coraggiosi” fu sollecitata, senza risultato, dall’ultimo amministratore pubblico mentre i sindacati brindavano.

Un boiardo che aveva capito come sarebbe finita mentre operai e impiegati erano impegnati a acquistare azioni della “loro” azienda.

Tutti padroni, vivaddio.

La festa durò poco. Le azioni crollarono dopo un paio di anni, mentre i nuovi padroni saccheggiavano tutto quello che c’era da saccheggiare.

La categoria era vecchia dal punto di vista anagrafico e ormai interessata solo a monetizzare il monetizzabile e andarsi a godere una serena vecchiaia.

La prima operazione che il padrone fece fu sterilizzarla.

Il contratto che trasformò la Sip in Telecom è una delle eredità più vergognose che ci portiamo dietro.

Si ridussero drasticamente i salari, si diminuirono le ferie, si tagliarono i benefici.

Ma lo si fece “solo” per i nuovi assunti mentre si garantivano i “diritti acquisiti” ai vecchi.

Così assumeranno i giovani ci dicevano.

Poi ci penseranno loro a rimettere le cose a posto.

Ma l’azienda bloccava il turn over e i giovani lasciava che li assumessero le ditte appaltatrici e subappaltatrici.

Si esternalizzava e i lavoratori erano contenti.

Si esternalizzavano i lavori più fastidiosi e più pesanti.

Gli operai erano contenti perché non dovevano più scendere nei pozzetti, salire sui pali, lavorare nelle trincee.

Gli impiegati perché non dovevano più mettere la cuffia sostituti dalle ragazze e dai ragazzi dei call center.

Una categoria parallela che faceva lo stesso lavoro che facevi tu e che … costava meno.

Iniziarono gli esuberi, i prepensionamento, le chiusure di sedi, i demansionamenti, i trasferimenti.

Alla fine se vuoi rimanere in quell’azienda ci rimani da servo e non più da aristocratico.

Alle condizioni che il mercato impone.

… e il mercato è una livella che ti trascina inesorabilmente verso il basso.

* da Facebook

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