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L’accusa più infamante: “essere come l’Urss”

Sulla pagina di Amnesty International dedicata all’Ucraina, la notizia d’apertura è che l’inchiesta sulle prigioni segrete del Servizio di sicurezza è a un punto morto. Non un accenno, a chi siano le persone che sono o sono state rinchiuse, torturate e anche assassinate in quelle prigioni: per la gran parte, miliziani delle Repubbliche popolari del Donbass. Anzi, per AI, il Donbass non esiste proprio in quanto questione di violazione del diritto fondamentale da parte del regime di Kiev: il diritto alla vita, negato da cinque anni alla popolazione di quella regione, martellata quotidianamente dalle forze “regolari” e dai battaglioni neonazisti.

AI parla solamente del “affrontements ont continué d’opposer les forces séparatistes et l’armée régulière, en violation de l’accord de cessez-le-feu conclu en 2015”, come se le violazioni non venissero dalle forze golpiste, che scientemente bersagliano villaggi e abitazioni civili delle città, insieme a ospedali, scuole, luoghi pubblici di LNR e DNR.

AI parla solo delle “autorità della DNR”, che violerebbero i “diritti civili” delle persone. E nella pagina dell’Ucraina è ovviamente inserita la Crimea, in cui, si dice, permane “l’occupation de la péninsule par la Russie, les services de sécurité russes ont effectué plusieurs dizaines de perquisitions au domicile de Tatars de Crimée”… Insomma, un Gianni Pittella qualunque non avrebbe potuto scrivere meglio.

Questa è la “democrazia” di AI, cui i demoreazionari del PD si affidano per disegnare il loro “quadro” della Russia, ribadito in occasione della visita di Vladimir Putin a Roma; un quadro tratteggiato, manco a dirlo, “a partire dal nostro versante, quello delle democrazie consolidate”, delle “democrazie liberali” che, di fronte a una “Russia di Putin come l’Urss: diritti calpestati, giornalisti uccisi”, devono stare in guardia contro un “programma che richiama alcuni degli obiettivi di fondo che l’Unione sovietica perseguiva negli anni della Guerra Fredda nei confronti delle democrazie liberali e del progetto comunitario europeo”.

Al dunque! Mai accusa fu più “storicamente suffragata”: essere “come l’Urss”, dio ce ne scampi, e addirittura portarsi “dietro non solo le illiberalità e l’oppressione proprie del sistema sovietico, ma anche rimasugli e strascichi dell’antico impero zarista”. Bisogna dar merito a nuovi catechisti del liberalismo: nemmeno i vecchi democristiani sarebbero stati capaci di cotanta “analisi”. E si rimane stupiti di come i demo-scudocrociati non si siano appellati al papa perché scomunicasse, invece di riceverlo, il capo di tale bolgia dantesca, tutt’oggi “come l’Urss”, lontana “dal garantire i diritti fondamentali delle democrazie”.

Di grazia, verrebbe da chiedere, se non sembrasse di sparare sulla Croce Rossa – quantunque, un paio di pallettoni su la croce rossa in scudo bianco aiuterebbero a rimettere i puntini sulle i – quali sarebbero i vostri “diritti fondamentali”? Forse le ginocchia dei lavoratori, spezzate a Soresina dai poliziotti salviniani, i quali ultimi non hanno fatto altro che mettere in atto quanto i loro colleghi minnitiani si apprestavano a fare contro le braccia degli sfrattati a Roma?

A fronte di un fascio-leghista che, come dice il solito Andrea Romano, “sta tentando di trasformare l’Italia in un piccolo Stato vassallo di una potenza straniera… finendo dunque per colpire al cuore il nostro interesse nazionale”, non c’è forse una linea ininterrotta che dal 1949 a oggi (governo giallo-leghista compreso) tiene saldamente l’Italia in condizioni di schiavitù economica, politica e nucleare sotto il tallone yankee?

A fronte di una “Europa, considerata al contempo (e a ragione) come il ventre molle dell’Occidente e come il baluardo simbolico dei suoi valori di coesione, pluralismo e tolleranza”, non ci sono forse – ci limitiamo a questo – una tale coesione che ha portato anche i governi “europeisti” di Roma a partecipare gagliardamente a tutte le missioni di guerra e di bombardamento in Africa, in Medio Oriente e persino nel cuore dell’Europa?

Non c’è forse una tale tolleranza, che porta i demo-repubblichini a inneggiare ai nazi-golpisti ucraini, i quali, nella loro infinita tolleranza, bombardano da cinque anni chi osa parlare nella propria lingua e assassinano chi osa denunciare il loro nazismo?

E’ la stessa tolleranza che porta a ignorare (per citare un solo caso e per limitarci alla sola cronaca di giugno) la morte, dopo un mese e mezzo di coma, del giornalista investigativo ucraino Vadim Komarov, pestato a Čerkasy per le sue inchieste sulla corruzione, e a strapparsi invece le vesti per il liberale Ivan Golunov, arrestato in Russia e rimesso in libertà il giorno successivo?

Ma basta. Siamo tutt’altro che cultori o ammiratori del corso eltsiniano ancora imperante in Russia, più o meno liberale o liberistico che sia. Per noi, sono sufficienti le quotidiane denunce dei comunisti russi, di tutte le organizzazioni comuniste russe, contro le politiche liberali e liberistiche dell’attuale governo di Mosca, senza che dozzinali reazionari italici urlino contro “i diritti in Russia fermi all’era sovietica”.

Si tranquillizzino i demo-scelbiani, verrebbe da dire – quantunque, no: rimanete pure afflitti, come lo sono i milioni che, anche grazie a voi, non hanno lavoro, o se ce l’hanno, è con contratti da schiavi, sono sfrattati, sono costretti a emigrare… – si tranquillizzino: la Russia non è come l’Urss, e lo stesso Putin ci tiene a ribadirlo ogni volta che cita, a sproposito, momenti della storia sovietica. Per afferrare la “piccola” differenza tra URSS e Russia, basta formulare una semplice domanda, che i “democratici liberali” non sono usi porsi: nelle mani di quale classe era allora ed è oggi il potere statale?

Leninianamente (ci si scusi l’immodestia) continuiamo a pensare che la “democrazia” debba essere intesa nella sua valenza storica e non abbia un carattere “universale” e assoluto, astorico e perpetuo; continuiamo a pensare che la democrazia abbia sempre un carattere di classe e continuiamo, in ogni occasione, a chiederci “democrazia per chi?”, “democrazia per quale classe?” e, se c’è dittatura, allora “dittatura contro quale classe?”.

Stalinianamente (di nuovo, ci si scusi la presunzione) continuiamo a pensare, anche contro certa sinistra pallida, che la democrazia sovietica, la democrazia attuata in un paese “come l’Urss” e formalizzata nella Costituzione del 1936, sia ad oggi la forma più alta di democrazia sostanziale, effettiva, non formale, non “liberale”, democrazia per le masse, per i lavoratori, mai raggiunta dopo la Comune di Parigi.

Non guasta rammentare (certo, non a beneficio dei demo-affaristi) forse la più chiara e più semplice, ma al tempo stesso più profonda definizione leniniana: “Le forme degli Stati borghesi sono estremamente varie, ma la loro essenza è unica: tutti questi Stati sono, in un modo o nell’altro, ma in ultima analisi, necessariamente, una dittatura della borghesia”.

I liberal-imputriditi del PD possono pure strillare contro i fascio-leghisti che cementano l’asse delle “democrazie illiberali”: gli uni e gli altri servono lo stesso padrone, che è quello per cui “i diritti fondamentali delle democrazie” sono lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, l’accaparramento dei frutti del pluslavoro spremuto alla classe operaia, la schiavitù salariale, l’apparato statale al servizio del capitale.

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