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Indifferenza di fine impero

Lo storico che in un lontano futuro volesse cogliere l’aspetto che meglio ha caratterizzato l’epoca delle grandi migrazioni non farà molta fatica a trovare una risposta.

Indifferenza.

L’indifferenza di chi dietro i fili spinati cerca di proteggere i propri privilegi, le proprie libertà, il proprio piccolo e vecchio mondo che già scricchiola in maniera sinistra.

Quelle foto sbiadite che scoverà, scavando nel passato più vergognoso dell’umanità, gli spiegheranno i motivi reali per cui quella lontana civiltà, la civiltà del capitale, è scomparsa implosa o travolta dagli eventi.

E guardando le altre immagini, quelle delle metropoli “ricche” e traboccanti di benessere sia pure appannaggio di sempre meno privilegiati, quelle oscene gazzarre in cui l’intellighenzia diversamente abile mima una oppressione che non ha mai vissuto, gli sarà facile, trovare argomenti per rendere comprensibile ai bambini di domani il perché e il percome, quel mondo, quella civiltà, non poteva avere nessun futuro.

E se sarà bravo nel suo lavoro forse una analogia la troverà in quell’altra immagine, quella di un tecnico vestito di bianco (un meccanico? un idraulico?) che spinge un bottone, stacca una spina, e decreta la morte di un vecchio malato perché “i lettini mancano” e bisogna far posto a chi “statisticamente” ha più possibilità di farcela.

Nella storia dell’umanità spesso si è dovuto fare una scelta.

Sacrificare gli inutili e i più deboli per salvare i più forti, i più adatti.

Ma una scelta sempre dettata dalla necessità, dalla mancanza di risorse, dalla lotta disperata contro la natura ostile.

Oggi per quei disperati che si ammassano ai confini del mondo “libero e civile”, ci sarebbe cibo a sufficienza, ci sarebbero case, scuole, lavoro, se il lavoro non fosse merce usata per arricchire le poche minoranze che ci campano su.

E chi è morto per mancanza di cure sa bene che quei lettini si potevano approntare, che, se non lo si è fatto, è perché non lo si è voluto fare.

Perché le risorse e la capacità produttiva, oggi immense, sono indirizzate ad arricchire i padroni dell’economia e, con le briciole, sostentare i ceti sociali parassitari che vivono alla loro ombra.

E pure gli sbirri e i manifestanti.

Indifferenza di fronte all’assassinio di migliaia di persone perché “non era possibile curarli“.

Non con farmaci miracolosi e mirabolanti, ma procurandogli una semplice bombola di ossigeno, una macchina per farli respirare, un infermiere.

Indifferenza verso chi crepa di fame fuori dagli steccati del nostro cortile.

Indifferenza.

Quella stessa soffocante indifferenza che la cronaca ci racconta si respirava nei paesi vicini ai lager dove venivano gasati i rifiuti umani nei tempi passati.

Gente che si tappa il naso e si volta dall’altra parte quando l’odore acre del fumo dei camini gli rovina la salutare passeggiata a cui è abituato.

Ma anche questo è un prodotto sociale, frutto amaro dei tempi in cui il capitale riusciva ancora ad avere margini di profitto tali da poter comprare, oltre alla forza materiale della persone, la loro anima.

Il loro convinto consenso.

Non so come andranno le cose, ma certo c’è poco da sperare da quella parte del mondo che fino a ieri ha goduto, anche se in forma sempre più precaria, delle briciole che “colavano” dalla tavola dei loro padroni.

Schiavi “da cortile” destinati a scomparire quando gli schiavi “dei campi di cotone” bruceranno la casa in cui vivono, nemmeno tanto male, nei sottoscala.

Forse c’è bisogno che una intera generazione corrotta dalla falsa coscienza e dai “benefit” dell’economia di mercato tiri le cuoia e sparisca, lasciando spazio a quei bambini e a quelle bambine che a milioni invaderanno le nostre contrade.

Coloro che non hanno più nulla da perdere che cresceranno e impareranno alla scuola della sopravvivenza.

E presenteranno il conto, statene certi.

Essi hanno la forza del numero. Per quanti ne ammazzate, altrettanti ne arriveranno.

Sono il prodotto dello stesso sviluppo economico.

Più vi arricchite, più poveri create.

Più progredite più rifiuti sociali create.

È la quantità a un certo punto del processo si trasforma in qualità.

Quei bambini e quelle bambine sapranno come badare a se stessi.

E i loro figli balleranno nelle nostre biblioteche usando i nostri libri, i nostri codici, i giornali dove sono descritte le nostre “eroiche” gesta, per riscaldarsi nelle sere d’inverno.

 * da Facebook

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