Il 31 marzo il Coordinamento Lavoratori portuali USB lancia una giornata di lotta a Genova: sciopero di 24 ore nel porto della Superba, con un presidio dalle 6 della mattina al Ponte Etiopia, in Lungomare Capena, e dalle 10.30 un’assemblea operaia presso il CAP di via Albertazzi.
Una iniziativa coraggiosa, quanto doverosa, in tempi di guerra, che è stata promossa per l’arrivo previsto della nave della compagnia saudita Bahri, carica di armi che saranno utilizzate nel conflitto yemenita.
Una lotta di lungo corso, quella dei camalli genovesi e degli attivisti che sostengono questa battaglia da quattro anni, che è costata una inchiesta giudiziaria piuttosto paradossale, emersa con le perquisizioni del marzo dello scorso anno ai danni di membri del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali e dell’Assemblea Antifascista di Genova.
Da allora l’azione dei portuali aveva mostrato il sistema pieno di “zone d’ombra” che rendeva possibile – grazie ad una sostanziale omertà – il traffico d’armi in un porto civile, la sete di profitto di un apparato militare-industriale (e la catena logistica a cui si appoggia) che vende dispositivi bellici a paesi impegnati in conflitti.
Non ultimo aveva messo in luce la complicità del potere politico locale, e di una parte delle organizzazioni sindacali, che difendono a spada tratta produttori e trafficanti di morte.
La lotta contro il traffico d’armi nel porto di Genova, dopo anni di monitoraggio e di circostanziate – quanto ignorate – denunce sui flussi di dispositivi d’arma nello scalo ligure, fa un salto di qualità con lo sciopero e la mobilitazione del maggio 2019 proprio con un cargo della compagnia saudita.
La nave era salpata ad aprile dagli States e ha imbarcato il 4 maggio container di munizioni al porto di Anversa, e sarebbe dovuta entrare l’8 maggio nel porto di Le Havre per caricare 8 cannoni semoventi Caesar da 155 mm prodotti da Nexter, rinunciandovi per la decisa opposizione intrapresa nello scalo francese da associazioni pacifiste che hanno sensibilizzato i dockers.
Nello scalo non previsto, nel porto di Santander, in Spagna, dov’è approdata dopo il mancato arrivo a Le Havre, ha incontrato l’opposizione di forze che ne hanno denunciato la funzione militare.
Nonostante le denunce e gli esposti alla magistratura delle associazioni pacifiste “avrebbe caricato armi e munizioni solo destinate ad una esposizione negli Emirati Arabi Uniti”, come riporta l’OPAL, prendendo spunto da ciò che era accaduto nello scalo francese.
L’Arabia Saudita, alla guida di una coalizione che dal 2015 ha dato vita all’escalation militare contro lo Yemen – colpevole in sostanza di avere defenestrato un “uomo dei sauditi”, nel 2014 – ed era il secondo cliente per i commercio di armi per la Francia.
L’establishment governativo francese aveva sempre pervicacemente negato il coinvolgimento dei dispositivi bellici francesi venduti alla petromonarchia saudita nel conflitto yemenita, ma un’inchiesta giornalistica di “Diclose” (prima del mancato sbarco a Le Havre) ha reso pubblici alcuni documenti ufficiali che avevano smentiscono clamorosamente le menzogne di Macron e del suo entourage.
Vale la pena ricordare che i due autori dell’inchiesta giornalistica sono stati interrogati dai servizi segreti interni francesi e su di loro è stata aperta un’indagine.
Dopo questa prima vittoria che aveva sollevato il “vaso di pandora”, una seconda battaglia vinta non rendeva quell’episodio (come molti l’avrebbero voluto relegare) una semplice parentesi, ma una possibilità concreta di opporsi alla tendenza alla guerra ed al mondo che la produce.
Una lotta che ha travalicato i confini, interessando altri scali, e ha bucato l’immaginario del movimento no war anche in altre nazioni.
Da allora il porto di Genova, ed in generale il sistema portuale italiano, ha conosciuto passaggi importanti che hanno costruito le condizioni per la giornata di lotta del 31 marzo.
Sono passaggi che devono essere richiamati, perché frutto di un lavoro organizzativo certosino che ha saputo intercettare le istanze che di volta in volta emergevano da quella porzione di classe del settore della logistica, traducendole in iniziative di lotta.
Tra le lotte più significative dello scalo genovese bisogna ricordare l’esito dello sciopero di 24 ore sulla sicurezza dei porti del giugno dell’anno scorso, proclamato anche negli altri scali italiani, dopo gli ennesimi infortuni mortali – prima a Taranto e poi a Salerno – e che ha posto con forza la richiesta di introduzione del reato di “omicidio sul lavoro“ a livello giuridico.
Oltre a questo va ricordata la gestione delle mobilitazioni per assicurare tamponi gratuiti ai lavoratori portuali dal momento dell’introduzione del Green Pass, lo scorso ottobre.
Una lotta vittoriosa, anche questa, caratterizzatasi per una gestione oculata ma determinata della questione del GP, a differenza dell’avventurismo senza sbocchi avuto in contemporanea dallo scalo di Trieste.
Questi due momenti specifici sono maturati grazie ad una serie di importanti passaggi che vanno richiamati.
Il primo fondamentale scatto in avanti è stata l’annuncio del passaggio di una parte consistente del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali all’Unione Sindacale di Base alla fine di ottobre del 2020.
Una scelta sofferta ma necessaria, che ha fra l’altro permesso all’USB di affermarsi come realtà determinante in uno dei maggiori scali italiani.
Il secondo passaggio è stata la creazione, nel maggio del 2021, del coordinamento dei lavoratori marittimo portuali di USB che dalle adesioni iniziali (Trieste, Livorno, Civitavecchia, Taranto, oltre a Genova) ha allargato la sua capacità di interlocuzione ed il suo raggio d’azione alle maggiori realtà portuali italiane.
Un terzo tornante, che è servito anche per fare il punto sulla battaglia contro il traffico d’armi – considerate prese di posizione e le azioni dei portuali di differenti scali durante l’escalation israeliana su Gaza -, è stata l’importante assemblea livornese del giugno scorso: “porti chiusi alle armi e aperti ai migranti”.
Assemblea che ha visto la partecipazione di realtà significative con cui è iniziata – o si è confermata – una proficua collaborazione, come Sea Watch e l’osservatorio The Weapon Watch.
Un quarto momento è stata l’assemblea di delegati e lavoratori USB del 19 giugno a Bologna, “Dalla catena di montaggio alla catena del valore”, dove è emerso con forza – in contemporanea con gli scioperi unitari nella logistica – il profilo di quel nuovo movimento operaio che ha costruito le condizioni per lo sciopero generale unitario di tutto il sindacalismo di base dell’ottobre scorso.
In questo solco si inserisce la giornata di lotta del 31 marzo, che trova maggior forza grazie al rifiuto dei lavoratori aereo-portuali di Pisa di caricare armi in un cargo civile, e rilancia una battaglia generosa contro “la nave della morte”, che in forme diverse non ha mai smesso di essere combattuta, nonostante i rapporti di forza non fossero favorevoli, ma è chiamata a fare un salto di qualità riproponendo lo sciopero come strumento principale in mano ai lavoratori.
L’attenzione, e la prevista partecipazione di amplio arco di forze. ne farà un banco di prova per il rinato movimento no war, in un contesto in cui il partito trasversale della guerra chiede un allineamento alle proprie scellerate politiche belliciste.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Sergio Binazzi
Tutta la mia solidarietà ai lavoratori, è con queste significative azioni che si esprime la propria contrarietà alle guerre, non attraverso le strumentali manifestazioni pacifiste ( almeno quelle che ci mostrano in TV) che diventano semplicemente un atto di subalternità alla nato e agli usa
Sergio Binazzi
Cari compagni, stamattina ho visto che il sito Sputnik è stato oscurato. Alla faccia della democrazia!! Siamo proprio in un regime autoritario ( non è una novità purtroppo) sono molto affezionato al vostro sito e a tutti quelli che forniscono una informazione dettagliata e alternativa a quella del regime del Draghistan. Ma in che mondo viviamo? Un saluto comunista