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Toni Capuozzo è stato un inviato di guerra per il Tg5, l’ammiraglia di Mediaset. Ha anche avuto una gioventù di sinistra, come tanti altri che poi hanno fatto della sola professionalità una seconda identità e vita. Non è certo dei “nostri”, ma ha visto e raccontato molti orrori; ha visto e raccontato molte “narrazioni” comode per la propaganda.

E la propaganda è un’arma di guerra. Nessuno dei contendenti si limita a “dire la verità”. Tutte le parti, con più o meno sagacia, con più o meno inventiva, ingrandisce le proprie vittorie, costruisce narrazioni orrorifiche del nemico, nasconde i propri orrori e ne aggiunge a quelli commessi dall’avversario.

Per i credenti, non c’è problema. I “nostri” sono buoni, i nemici sono infami. E spesso, quasi sempre, le cose si mischiano. Saper distinguere è un’arte che si apprende con l’esperienza diretta. Non una regola matematica che dà sempre il risultato esatto.

Le domande che anche Toni Capuozzo si pone su Bucha e dintorni sono quelle che bisogna farsi. Che ci siamo fatti, E che potrebbero aver risposta solo da un’inchiesta totalmente indipendente. Che non ci sarà mai. Resta solo l’escalation. Delle parole, delle narrazioni, delle accuse, delle richieste impossibili (“processare Putin” – o Biden – è una barzelletta). Una escalation che serve solo a prepararne un’altra, sia economica che militare.

Un’avventurismo senza limiti, finché non li incontra…

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La prima domanda che mi sono fatto è: pensi che sia impossibile che i russi, ritirandosi, abbiano fatto, per vendetta e odio, una strage di civili? Non lo ritengo impossibile, ho visto troppe volte che la guerra porta a dare il peggio di sé.

La seconda domanda è stata: pensi che sia impossibile che gli ucraini, aggrediti, bisognosi di aiuto, ansiosi di coinvolgere la comunità internazionale, abbiano “costruito” la scena ? Ho una lunga esperienza, dal Kossovo al Libano, da Betlemme a Belgrado, di situazioni forzate, modificate, usate: in guerra ogni mezzo è buono.

In più, in questo caso, ci sono i precedenti della ragazza di Mariupol (diceva la verità allora, o la dice adesso?), il mistero del teatro di Mariupol, i numeri che vengono forniti dalle Nazioni Unite e dagli ucraini su vittime civili e perdite militari russe (sarebbero morti 400 militari russi per ogni civile ucciso….).

Il mestiere del giornalista è farsi domande, anche quelle scomode. E allora mi ha sorpreso una sequenza di date:

– il 30 marzo le truppe di Putin abbandonano Bucha

– il 31 marzo il sindaco, davanti al municipio, rilascia una dichiarazione orgogliosa, sul giorno storico della liberazione. Non parla di vittime per le strade.

– il 31 marzo Maxar Technologies pubblica le foto satellitari che rivelano l’esistenza di fosse comuni attorno alla chiesa. E’ una scoperta che poteva essere fatta a terra: è la fossa che pietosamente gli abitanti del posto hanno iniziato a scavare il 10 marzo per seppellirvi i propri morti nella battaglia – siamo poco lontani dall’aeroporto di Hostomel – in cui nessuno avrebbe fatto distinzioni tra civili e militari.

Il 1 aprile va in onda a Ukraine TV24 l’intervista al sindaco. Non è accompagnata da alcun commento su morti per strada.

Il 1 aprile un neonazi che si fa chiamare Botsman posta su Telegram immagini di Bucha. Dice solo di aver trovato un parlamentare, in città, non parla di morti. Ma lo si sente rispondere a una domanda: “Che facciamo con chi non ha il bracciale blu’?” “Sparate”, risponde.

Il 2 aprile la Polizia ucraina gira un lungo filmato sul pattugliamento delle strade di Bucha (che non è enorme: 28mila abitanti). Si vede un solo morto, un militare russo, ai bordi della strada.

Nel filmato, lungo 8 minuti ci sono abitanti che escono dalle case, e passanti che si fermano a parlare con la polizia. Lieti di essere stati liberati, ma nessuno parla di morti per strada. La cosa peggiore è quando uno racconta di donne costrette a scendere in una cantina, e uomini prelevati per essere interrogati.

Il 3 aprile il neonazi su Telegram incomincia a postare le foto dei morti. A tre giorni pieni dalla Liberazione.

Il 4 aprile, ieri, il New York Times pubblica una foto satellitare che riprende i morti per strada, spiegando che è stata scattata il 19 marzo (quindi i corpi sarebbero per strada da quasi due settimane, sembrano le armi chimiche di Saddam).

Va da sé che onestà e indipendenza (che poi uno scambi l’indipendenza come dipendenza da Mosca mi fa solo ridere amaramente) impongono domande.

Com’è che gli abitanti di Bucha che, sotto la dura occupazione russa, seppellivano i propri morti, questi invece, pur liberi, li lasciano sulle strade ?

Com’è che attorno ai morti non c’è quasi mai del sangue ? Se una vittima viene sparata alla tempia, è una pozza, finché il cuore batte. Se gli spari che è già morto, niente sangue.

Com’è che in una cittadina piccola e in guerra, dove nessuno presumibilmente si allontana da casa, nessuno ha un gesto di pietà, per tre giorni, neanche uno straccio a coprire l’oscenità della morte ? Erano morti nostri o altrui?

Se uno vuole credere, se cioè è questione di fede, anche l’osservazione che i morti, per bassa che sia la temperatura non si conservano così, è inutile. Morti pronti per il camera car che è una gimkana tra i corpi. Una volta tirai un sasso a un randagio, io che amo gli animali, perché si stava cibando del corpo di un terrorista, e non era in una città affamata.

Purtroppo mi interessano poco le testimonianze de relato – “mi hanno raccontato che”- o i servizi che aggiungono alla scena solo rabbia e indignazione, e pietà all’ingrosso.

Ricordo ancora a Gerusalemme il responsabile della sede RAI scrivere una mail privata ai dirigenti palestinesi attorno alle immagini di un linciaggio a Ramallah: “La Rai non avrebbe mai mandato in onda immagini che vi danneggino”. I gonzi pubblicarono la mail di solidarietà sui giornali.

Né mi turbano le accuse dei tifosi, dei trombettieri e dei tamburini. Senza insulti sono disposto a discutere con chiunque, e so che quelle persone, chiunque fossero, in qualunque circostanza fossero state uccise, a qualunque scopo venissero esibite (i russi per terrorizzare, gli ucraini per emozionare il mondo) sono morte nel modo peggiore, e meritano pietà e giustizia, non propaganda.

Resta l’orrore, e la speranza che commissioni severe indaghino e la facciano pagare ai responsabili. Se sono russi, irraggiungibili, resteranno nell’album delle infamie.

Se qualche ucraino ha abbellito o costruito la cosa, è giusto almeno porsi un altro paio di domande scomode.

Come fai a non mandare armi a un popolo così martoriato, come fai a non reagire all’orrore ?

Come fai a convincere l’opinione pubblica mondiale che bisogna mandare altre armi e puntare a punire l’invasore, non a negoziarne il ritiro? Come si giustifica un’escalation?

In poche parole: a chi giova?

Ma, attenzione, anche rispondere a questa domanda non dà alcuna certezza. Perché la guerra è calcolo, ma ancora di più follia e stupida ferocia.

* da Facebook

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