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Marmolada, strage del sistema

La strage della Marmolada, dove alla fine conteremo decine di morti, non ha nulla di fatale, essa è frutto di un insieme di azione umane nefaste che, combinate assieme, portano al massacro.

Il cambiamento climatico, da noi esploso in ondata di calore e siccità, è frutto dell’opera e del modello di sviluppo degli esseri umani. Un modello di sviluppo fondato sulla crescita continua, che non può certo essere modificata dalla “riverniciatura verde” di economie che mettono il profitto davanti a tutto.

La guerra, che ovviamente è la più grande devastazione della vita e dell’ambiente, ha poi rilanciato il peggio dell’inquinamento: il carbone, il petrolio, le trivellazioni selvagge, il nucleare.

Ma la feroce stupidità di chi governa non sta solo nel non fare nulla per fermare la catastrofe climatica, ma anche nel non predisporre nulla di significativo per adattarsi ad essa.

Che misure vengono prese per controllare il suolo, l’acqua, l’aria; dalle città al mare, al fiume, ai monti? Nulla. Il monitoraggio dell’ambiente avviene con gli scarsi mezzi ed i tagli della spesa pubblica decisi in questi anni.

Possibile che non sappiamo prima che un ghiacciaio enorme, a dieci gradi di temperatura, possa frantumarsi in slavine terrificanti?

Figuriamoci se ci occupiamo dei ghiacciai, quando non ci sono strumenti e mezzi adeguati per convogliare l’acqua senza sprecarne la metà, per sorvegliare e prevenire incendi, per informare ed educare al rispetto della natura.

Infine, è senza responsabilità che centinaia di turisti si concentrino sotto un ghiacciaio che può crollare da un momento all’altro? Non sarebbe necessario organizzare diversamente l’accesso alla natura, tenendo conto della sua condizione reale? Che vuol dire l’appello ipocrita alla “prudenza” delle persone, quando le autorità non fanno nulla per garantirne la sicurezza, per paura di danneggiare gli affari del turismo?

È come per gli omicidi sul lavoro: chiacchiere e lacrime di coccodrillo, quando le misure di sicurezza non vengono prese, controllate, imposte.

A questo punto sento di nuovo pronunciare lo stesso anatema che ha percorso la pandemia: “noi siamo società libere tu vuoi irregimentarci tutti in una specie di comunismo!

Ebbene, sì. Io credo che il mondo attuale – sia che parliamo di salute, di ambiente, di lavoro e economia – questo mondo che va alla catastrofe, non possa più permettersi l’individualismo trascinato dal mercato e dal profitto.

Penso che il cambiamento climatico – sia nei suoi effetti di medio periodo, sia nei suoi colpi immediati – si possa affrontare solo in un’ottica di pianificazione economica e sociale, di eguaglianza, di distribuzione programmata delle risorse, di cambiamento organizzato dei modi di vita.

Invece stiamo andando nella direzione esattamente opposta. Ai due anni di pandemia sono seguiti nuovi tagli alla sanità pubblica e territoriale. La necessità di programmazione pubblica è stata negata con il rilancio del privato e delle privatizzazioni.

Spendiamo più in armi che in ambiente. Mentre il clima irrompe nelle nostre vite, tutto il potere agisce come se non stesse succedendo nulla. Sembra davvero di vivere dentro il film “Don’t look up”.

La strage di turisti sulla Marmolada non è frutto del destino, ma di un sistema che nel grande come nel piccolo non vuol cambiare nulla di se stesso. E che per questo va ribaltato.

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1 Commento


  • Manlio+Padovan

    E’ anche vero però che :
    “Con l’unificazione del territorio, lo Stato unitario cancellò a mano a mano, con leggi fatte apposta, tutta la politica che in precedenza aveva caratterizzato l’intervento pubblico sul suolo e sui fiumi dei vari Stati preunitari. Dopo la cosiddetta unità lo Stato delega ai privati, che agiscono però con la copertura di enormi finanziamenti pubblici, i suoi compiti sulle opere pubbliche relative a consolidamento dei suoli, regimentazione delle acque, strutture insediative sui terreni bonificati, ecc., per lasciare libero campo agli interessi dell’industria a danno dell’agricoltura: interessi più remunerativi, per i privati, di quelli che dava l’agricoltura.
    Il discorso su questa abdicazione dell’istituto statale in Italia ad una delle funzioni che più tipicamente distingue lo stato moderno – cioè il suo intervento nel determinare in termini economici, urbanistici e demografici la organizzazione di territori in cui esso si articola – potrebbe continuare fino ai nostri giorni. Ma qui basterà far notare come le contraddizioni istituzionali su cui si è insistito…abbian sacrificato totalmente i risultati delle discussioni e delle ricerche portate innanzi dal secolo XVIII fino a età risorgimentale, e le loro prime positive conseguenze. E come esse sian le responsabili del dissesto che investe e ferisce ora, nei nostri ambiti nazionali, con un ritmo e una misura che ogni anno aumentano, i beni naturali, i patrimoni culturali, la vita della gente. (L. Gambi nella introduzione a: B. Vecchio Il bosco negli scrittori italiani del settecento e dell’età napoleonica)

    Insomma: tra uno Stato cialtrone ed una politica infame, in 700 anni di cultura borghese e 150 anni di civiltà industriale stiamo distruggendo quanto avevamo conservato in 8 milioni di anni. Ma chi consuma sono i ricchi e i superricchi che sono quelli che hanno in scacco i politici.

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