Lo scorso 11 agosto il quotidiano sedicente comunista “il Manifesto” ha pubblicato un riprovevole articolo in cui prova a mettere in cattiva luce il defunto compagno Edy Ongaro “Bozambo”.
Non è certo la prima volta che il Manifesto attacchi la Resistenza del Donbass o i comunisti, è ben nota la sua posizione di appiattimento sulla linea del Governo italiano, atteggiamento tipico della “sinistra imperiale”.
Voglio anche ricordare che questi strali de il Manifesto spesso sono fatti con argomentazioni patetiche che oltre alla condanna politica ne richiederebbero pure una deontologica.
L’articolo in questione, nel raccontare dei provvedimenti giudiziari avviati contro dei fascisti italiani che sono andati a combattere per Kiev (accusati di essere mercenari), tira in ballo Edy e lo fa con vigliacca ambiguità.
All’interno di un’elencazione di vari nomi di persone per lo più di destra e/o esponenti del tifo organizzato, Edy viene descritto come “ultrà del Venezia […] dal 2015 tra le fila dei separatisti filorussi”.
Non lo si può descrivere così! Edy era un comunista combattente morto in battaglia difendendo dai nazisti il popolo del Donbass. Edy era un partigiano. Edy era un internazionalista. Edy ha fatto quello che avrebbe dovuto fare ogni antifascista: sollevarsi in armi per resistere contro il ritorno del fascismo. Ha combattuto per sette anni cadendo da eroe.
Ovviamente è vero che Edy fosse un ultrà, ma mettere in evidenza solo un aspetto marginale serve ad omettere gli aspetti principali e a creare un legame con altre persone con cui ha ben poco a che spartire.
Inoltre, va sottolineato che il Donbass è indipendente dal 2014 e la sua lotta contro il fascismo e per la libertà – con il tentativo di costruire delle Repubbliche Popolari – non può certo essere liquidata come “separatismo filorusso”.
Io voglio non solo difendere il buon nome di Edy, ma anche quello delle Brigate Internazionali, baluardo antifascista negli anni ‘30. Quelle in cui ha combattuto Edy sono realmente le eredi delle organizzazioni internazionaliste in cui confluirono volontari da ogni parte del mondo e che – quasi un secolo fa – andarono a combattere contro il fascismo in Spagna.
Al riguardo nessun antifascista può avere alcun dubbio, eppure il Manifesto in questo articolo chiama “brigate internazionali” non i gruppi antifascisti che combattono da otto anni contro il fascismo risorto in Ucraina, ma le bande di nazisti agli ordini di Kiev.
Non si può tollerare che si associno le brigate internazionali al nazismo, si tratta di una sporca infamia revisionista. Questo articolo non è solo un’offesa alla figura di Edy, martire antifascista, ma lo è anche alla memoria delle Brigate Internazionali e in definitiva a tutti gli antifascisti.
Alla luce di ciò, urge un chiarimento con il Manifesto. La gravità dei fatti non consente più margini di ambiguità, ci facessero capire da che parte vogliono stare: con i fascisti o con gli antifascisti.
A il Manifesto facessero la loro scelta in libertà, ma lasciassero in pace gli eroi antifascisti e non abusino del nome delle Brigate Internazionali, della Resistenza e dei partigiani affiancandoli alla feccia nazista.
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Giancarlo staffo
Il compagno Manlio Dinucci ha lasciato giustamente il Manifesto euroatlantico che abusa del nome “comunista” ormai arruolato e sovvenzionato nella stampa di regime
Giancarlo staffo
.M. Dinucci sarebbe in ottimo acquisto per Contropiano
leandro locatelli
Chi non conosce la Verità è uno sciocco, ma chi conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente
Petizione diretta al Presidente Mario Draghi e al ministro Cartabia
Andrea Rocchelli, fotogiornalista italiano era andato a documentare gli orrori della guerra in Ucraina, precisamente nel Donbass, ed è stato ucciso per questo. E’ stato assassinato insieme all’attivista per i diritti umani (e interprete) Andrej Nikolaevič Mironov, dal fuoco ucraino, il 24 maggio 2014. William Roguelon, unico sopravvissuto all’attacco, dichiarerà che il gruppo è stato bersagliato da numerosi colpi di mortaio e armi automatiche dalla collina Karachun, dove era stanziata la Guardia nazionale dell’Ucraina e l’esercito ucraino. Gli assassini non sono i russi ma i nostri alleati, addestrati e armati da noi. I “buoni”. Quelli che difendono la libertà. Nel luglio 2017 le indagini hanno portato all’arresto di Vitaly Markiv mentre rientrava in Italia, militare della Guardia nazionale ucraina col grado di vice-comandante al momento dell’arresto ma soldato semplice all’epoca dei fatti, con cittadinanza italiana. Markiv è stato sottoposto a misure detentive di custodia cautelare in attesa del processo che si è aperto a Pavia nel maggio 2018. Durante lo svolgimento del processo, Markiv viene anche accusato dentro e fuori l’aula di simpatie neonaziste. Si legge su Wikipedia: “Il 12 luglio 2019 la corte penale di Pavia ha giudicato Vitaly Markiv colpevole per concorso di colpa nell’omicidio di Rocchelli e Mironov e lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Lo stato Ucraino è stato anch’esso giudicato colpevole nella medesima sentenza quale responsabile civile”. Markiv però se la cava, dopo l’intervento delle autorità dell’Ucraina che prendono le sue difese. Ed ecco il colpo di scena: “Il 3 novembre 2020 la Corte d’Assise d’appello di Milano, pur ritenendo colpevoli le forze armate ucraine dell’omicidio dei giornalisti, ha assolto Vitaly Markiv con formula piena escludendo alcune testimonianze chiave dall’impianto accusatorio per un vizio di forma”. Sul tablet e sullo smartphone sequestrati a Markiv, secondo i Ros, sono conservate oltre duemila fotografie. Alcuni scatti mostrano un uomo incappucciato, con una catena di ferro al collo, rinchiuso nel bagagliaio di un’automobile, una Skoda Octavia. In alcune immagini scattate poco dopo, si vede lo stesso uomo, con il volto ancora coperto, gettato in una fossa mentre qualcuno non inquadrato nella ripresa lo ricopre di terra. Altre fotografie ritraggono Markiv davanti alla stessa Skoda Octavia. Quando nell’aula è stata mostrata una foto di agenti della guardia nazionale ucraina con alle spalle una bandiera nazista, Markiv ha chiesto di prendere la parola e ha detto: «Non voglio che la guardia nazionale sia presentata come nazista. La bandiera ritratta in quella foto è soltanto un bottino di guerra» Peccato che il nemico fossero gli autonomisti del Donbass. Non c’è pace senza giustizia, non si annulla una sentenza per vizio di forma, dopo l’intervento delle autorità Ucraine che hanno parlato di complotto e di processo politico, intervento supportato anche da politici di lungo corso italiani. Chiediamo al presidente del consiglio Draghi ed al ministro della Giustizia Cartabia la revisione del processo. Ci sono due vittime innocenti, assassinate perché testimoniavano con il loro lavoro verità scomode, non ci possono essere colpevoli in libertà. La responsabilità penale è personale, indicare come responsabile l’intero esercito ucraino è inutile e sbagliato. Verità e giustizia per Andrea e Andrej.
Puoi firmare la petizione qui: https://chng.it/J4kY6Zdj