In una economia di mercato la piena occupazione è una chimera.
I motivi sono spiegati in qualsiasi libro di economia, perfino in quelli non ispirati dai marxisti.
L’esercito di disoccupati e inoccupati che si restringe nei momenti di boom economico e si allarga a dismisura nei periodi di crisi, è parte integrante e non eliminabile del modo di produrre basato sul profitto privato.
Da un lato c’è l’incapacità del capitale di sostentare TUTTI, di garantire il lavoro alla totalità della popolazione attiva.
L’incapacità di sfruttare tutta la forza lavoro disponibile.
Dall’altro c’è l’interesse oggettivo a assicurarsi una riserva ricattabile e pronta a scannarsi per ottenere la catena che gli permette di campare.
Una massa di affamati di lavoro che tengano bassi i salari degli occupati.
Nel corso della sua storia la borghesia ha sempre cercato di controllare il fenomeno.
Troppo pochi disoccupati, disposti a lavorare da salariati, imponevano l’apertura delle frontiere alle “eccedenze” provenienti dai paesi in recessione e in declino.
La gestione dei flussi migratori interni. Dal “sud” contadino al “nord” industrializzato.
L’immigrazione, per la conquista di “nuove frontiere”.
In un passato nemmeno lontano, l’abolizione della schiavitù e delle forme di servaggio che impedivano la libera circolazione delle persone (e delle merci).
Per i paesi con una eccedenza di forza lavoro rispetto alle proprie capacità produttive, c’è stata la soluzione della deportazione coatta verso le conquiste coloniali, il “posto al sole” fuori dai confini della patria, l’emigrazione “volontaria”, la guerra con la decimazione dei “nullafacenti” e l’esportazione di forza lavoro verso i territori “nemici”.
Perfino i lavori socialmente “inutili” sono stati sperimentati, lo scavare buche che altri, in seguito, avrebbero riempite. Il parcheggio in scuole di formazione in cui si studiava improbabili sbocchi professionali. Gli incentivi ai privati detentori di capitali per sostenerne i profitti e convincerli a svolgere il ruolo di ben pagati “benefattori” sociali.
L’assistenzialismo verso i senza lavoro e i senza reddito è l’ultima sponda di una classe dominante che vede assottigliarsi il consenso. Una politica che viene praticata per impedire che la situazione incancrenisca e che il numero crescente di “poveri” diventi ingovernabile.
Che si stanchino di fare la fila alla mensa della Caritas e dormire nei palazzacci fatiscenti e abbandonati.
Il RdC serve a questo.
E’ una “misura di polizia” prima che diventi necessario usare la forza persuasiva del manganello.
Non a caso si chiamano “ammortizzatori sociali”.
Un costo che bisogna pagare per mantenere la pace sociale.
Fin quando le masse, ormai consistenti, di proletari senza risorse se ne staranno buone accontentandosi delle promesse dei “santi in paradiso” che, per mestiere e convenienza elettorale, si preoccupano delle condizioni di vita dei “meno fortunati”, dare la caccia ai poveri, per permettere ai ricchi di svernare a Cortina e veleggiare sulla Costa Smeraldo, sarà lo sport preferito di una borghesia accattona che non comprende su quale santa barbara ha appoggiato il suo culo.
Appena si scatenerà un minimo di ribellione, prodotta dalla paura di perdere quel poco di garanzie sociali che ci rimangono, vedrete con quale foga e determinazione saranno i borghesi stessi a chiedere più tasse, e a mettere in gioco i loro patrimoni, per tenere lontano il “disordine” dai loro boulevard e dalle loro ville.
Tolti gli ammortizzatori, rimane solo lo scontro fra interessi contrapposti.
Rimane la “guerra” quotidiana per sopravvivere.
Se sei forte, e organizzato, vinci. Se no crepi.
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