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Meloni e la carta della retorica identitaria

Il discorso di Meloni per la festa ebraica di Hanukkah segna un passaggio importante. Essendo Meloni retoricamente abilissima, non emerge tanto quanto lei sia di estrema destra rispetto al discorso politico-giornalistico liberale sull’identità ma quanto questo discorso sia difficilmente distinguibile dal suo.

Molti politici e giornalisti non esplicitamente razzisti hanno riproposto il discorso identitario in termini di «liberalismo combattente». L’esito è un universalismo selettivo, di cui Macron è correntemente il massimo esempio in Europa, ma che in Italia ha radici ben più profonde.

Si tratta dell’uso del repubblicanesimo per affermare un’ideale di comunità apparentemente di eguali ma che invece stabilisce gerarchie di riconoscimento e diritti tra membri legittimi e illegittimi. Questi ultimi devono essere disciplinati, inclusi in modo subordinato o esclusi.

Nello specifico, ciò che colpisce nel discorso di Meloni non consiste solo nel fatto che l’erede politica di quelli che internavano, ammazzavano e consegnavano ai nazisti i nonni dei membri della comunità ebraica di oggi, venga accolta a braccia aperte – non unanimemente, come si può leggere sul blog di una lista del centrosinistra ebraico Menorah. Ma che non si veda l’idea razzista di identità che propone Meloni.

Gli ebrei «vanno bene» perché erano italiani e quindi, facendo parte della nostra tradizione, sono alleati – da confrontare anche la letterina di Valditara sulle leggi razziali pubblicata da Repubblica qualche settimana fa. Secondo il ministro dell’Istruzione, l’antisemitismo è una parentesi senza storia e senza futuro, priva di conseguenze. Una pietra di inciampo in un percorso ascendente verso l’eguaglianza e la fraternità tra ebrei e non ebrei italiani.

In generale, per i fratelli di Italia, gli ebrei vanno bene perché sono sopravvissuti grazie alla trasmissione della propria identità nel tempo. Questa interpretazione, oltre ad esser retriva, dimentica che molto di quello che è considerato “ebraico” deriva invece da intrecci e mescolamenti – su tutti, il libro da leggere è “L’ebreo non ebreo” dello storico Isaac Deutscher (ormai fuori catalogo).

Meloni – e la destra della comunità ebraica – dimentica che, in fondo, tutte le identità non cominciano mai, ma sono sempre già iniziate. L’origine non c’è, se non ex post per legittimare una posizione di relativo potere nel presente o l’aspirazione alla sua conquista.

Inoltre, come emerso da anni per diverse destre radicali nel mondo, essere formalmente amici degli ebrei oggi è fondamentale. Perché permette di manganellare meglio musulmani e migranti latamente intesi.

Permette anche di schierarsi sul confine dello scontro di civiltà, contro il mondo arabo. Per ragioni diverse da chi vive in Israele ma in parte sovrapponibili.

Tuttavia, il problema più radicale è che gli stati-nazione si fondano sull’esigenza di unire una comunità dandole un significato tramite tradizioni inventate, identità immaginate e storie selettivamente ricostruite per legittimare il presente.

L’identità europea, nel mainstream liberale, fa da contrappeso. E però, al contempo, la UE si comporta come un macro stato-nazione nella gestione dei sui confini esterni – tra esternalizzazione delle politiche migratorie, accordi con tiranni, respingimenti per terra e per mare, abbandono dei migranti ai fondali degli oceani e criminalizzazione della solidarietà con i migranti.

Il punto di fondo è: i diritti di cui si parla in relazione a democrazia, Ucraina, Ue, Occidente valgono per chi? Solo per i cittadini razzialmente concepiti come legittimi titolari di diritti.

Questo limite non è purtroppo proprio solo dell’estrema destra. È una faglia iscritta nella tradizione liberale: i diritti nascono delimitati per classe, genere e razza. Progressivamente, con i conflitti sociali, le garanzie vengono estese. Ma il problema tocca anche un pezzo di sinistra, dove populismo e nazionalismo hanno ancora un certo successo. Il tema dell’identità divide inoltre anche gli antirazzisti, tra posizioni più universalistiche e più particolaristiche.

Ad ogni modo, non mettere in relazione alle politiche omicide contro i migranti – ovvero la lotta per mare contro i salvataggi dei naufraghi e per terra, con i discorsi infiammati sui piani di eversione delle democrazie tramite flussi migratori incontrollati da parte di potenze straniere – la retorica sull’identità di Meloni, è un grave errore politico.

Non certo perché sia possibile sbarazzarsi dell’identità sic et simpliciter. Tuttavia, l’identità intesa come la intende Meloni serve a legittimare la perimetrazione della difesa di un pezzo di società a scapito di chi è considerato esterno a questa – pur se ci vive lavora e muore.

* da il manifesto

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