Macron è sbarcato a Pechino mercoledì 5 aprile portando un messaggio chiaro: no a qualsiasi “decoupling” (separazione) dall’economia di un paese, la Cina, che per la Francia rimane un partner fondamentale.
Nei suoi tre giorni di visita di stato l’inquilino dell’Eliseo è accompagnato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che lo stesso Macron ha voluto con sé a simboleggiare l’unità europea, ma che la settimana scorsa ha pronunciato un discorso sulle relazioni Unione Europea-Cina duro nei confronti di una Cina che «sta diventando più repressiva all’interno e più assertiva all’estero».
Le parole di Macron sono di tutt’altro tono:
Non ci dobbiamo separare dalla Cina. La Francia è impegnata attivamente a continuare ad avere una relazione commerciale con la Cina. Si sentono voci sempre più forti che esprimono una grave preoccupazione per il futuro delle relazioni tra Occidente e Cina, che in qualche modo portano a concludere che è in atto un’inarrestabile spirale di crescenti tensioni. Non credo, in ogni caso non voglio credere, a questo scenario.
Nelle dichiarazioni del presidente francese c’è, da un lato, una presa d’atto delle spinte a un (parziale e selettivo, soprattutto tecnologico) “decoupling” dalla Cina che arrivano da Washington; dall’altro il segnale che per una parte importante dell’Europa la strategia è un’altra: quella che punta a mantenere aperto il dialogo politico con Pechino e a rafforzare le relazioni con la seconda economia del pianeta. In sostanza la rivendicazione che gli interessi strategici dei grandi paesi europei non coincidono con quelli degli Stati Uniti.
L’amministrazione francese è convinta che la pacificazione dell’Ucraina passi per Pechino, perché – ha dichiarato Macron – «l’interesse della Cina non è avere una guerra duratura». Secondo un funzionario dell’Eliseo, «se c’è un solo paese che può indurre Mosca a cambiare i suoi calcoli, è proprio la Cina».
Prima di volare a Pechino, Macron ha avuto una conversazione telefonica con il suo omologo statunitense, Joe Biden. Secondo il comunicato dell’Eliseo, i due presidenti sarebbero d’accordo nel «coinvolgere la Cina per accelerare la fine della guerra in Ucraina e partecipare alla costruzione di una pace sostenibile nella regione».
La “terza via” di Macron, che prevede di affrontare le sfide poste dall’ascesa della Cina senza essere conflittuale con Pechino, l’aspirazione a una “autonomia strategica” dell’Europa – messa a dura prova dalla “rivincita” dell’Alleanza atlantica grazie alla guerra in Ucraina -, sono musica per le orecchie della leadership del partito comunista, che punta a rilanciare i rapporti con l’Ue, intiepiditisi nel 2019, quando la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker varò lo “EU-China Strategic Outlook”, che ha identificato per la prima volta la Cina anche come un “rivale sistemico”, e raffreddatisi con la pandemia, durante la quale Bruxelles e Pechino sono arrivate ad affrontarsi a colpi di sanzioni e contro-sanzioni (per la repressione delle minoranze islamiche nella provincia cinese del Xinjiang), in seguito alla quali è stato congelato il Comprehensive Agreement on Investment negoziato per sette anni dai due blocchi.
In una fase di polarizzazione dello scenario internazionale e di quasi scontro con gli Stati Uniti, l’amicizia (“cercare un terreno comune e mettere da parte le differenze”, è l’invito di Pechino) con la seconda economia continentale, paese fondatore dell’Unione Europea, per la Cina vale più che in passato.
Per questo a Macron è stato riservato un trattamento speciale: sette ore di colloquio con Xi, che lo accompagnerà domani a visitare il Guangdong, la roccaforte industriale amministrata dal 1978 al 1981 da suo padre Xi Zhongxun.
Alla leadership di Pechino la visita del presidente francese nella provincia meridionale offre soprattutto l’occasione di lanciare all’Europa il messaggio secondo cui la Cina (di padre in figlio) rimane instradata lungo il percorso di “riforma e apertura” tracciato da Deng Xiaoping, contrariamente a quanto sostenuto da von der Leyen, secondo la quale la Cina «ha voltato pagina rispetto alla stagione di “riforma e apertura” e sta entrando in una nuova era di controllo securitario».
La ripresa economica va favorita mantenendo il paese aperto al resto del mondo, perciò – promette la leadership uscita dal XX congresso del partito comunista – nei mercati cinesi continuerà a esserci spazio per le importazioni e gli investimenti dall’estero.
I leader cinesi ricevono solo raramente i capi di stato e di governo stranieri fuori da Pechino. Il passaggio di Macron da Guangzhou (il capoluogo del Guangdong) riflette l’importanza che i due presidenti attribuiscono al loro incontro.
Per Macron, alle prese con le proteste di massa contro la sua riforma delle pensioni, si tratta di recuperare l’iniziativa come statista europeo: la delegazione francese è ai massimi livelli e include anche la ministra degli esteri, Catherine Colonna, e quello delle finanze, Bruno Le Maire. Per Xi, che deve fronteggiare il “containment” Usa, l’obiettivo è quello di cercare sponde solide all’interno dell’Unione Europea.
Nel 2022 la Francia è stata il terzo partner commerciale della Cina nell’UE, dopo la Germania e l’Olanda, e il Guangdong rappresenta circa un quinto del commercio totale della Cina con la Francia.
L’anno scorso Francia e Italia hanno registrato un interscambio commerciale importante con la Cina, uguale nel valore complessivo (rispettivamente 72,7 e 73,9 miliardi di euro), ma dalla composizione molto diversa. Infatti la Francia ha importato dalla Cina merci per 49 miliardi di euro, esportandone in direzione opposta per 23,7 miliardi di euro; l’Italia invece, a fronte di un import di 57,5 miliardi, ha registrato un export di soli 16,4 miliardi.
Come il cancelliere tedesco Olaf Scholz (che nel novembre scorso che si era portato dietro a Pechino il gotha della grande industria teutonica) anche Macron spinge per intensificare la cooperazione economica bilaterale con la Cina.
La delegazione al seguito dell’inquilino dell’Eliseo include circa 60 manager, tra cui i rappresentanti del colosso dell’aviazione Airbus (che ha discusso con il governo di Pechino un piano di espansione in Cina), delle ferrovie Alstom, dei giganti dell’energia nucleare EDF e del lusso LVMH, di L’Oreal, e Veolia, ma anche artisti come il musicista Jean-Michel Jarre e il regista Jean-Jacques Annaud, il cui “Notre-Dame on Fire” uscirà nei cinema cinesi nei prossimi giorni.
Le dichiarazioni e la strategia del presidente francese cozzano con le parole pronunciate la settimana scorsa da von der Leyen durante il discorso pronunciato allo European Policy Centre di Bruxelles.
La presidente della Commissione Ue ha sostenuto che la Cina punta a «un cambiamento sistemico dell’ordine internazionale», e ha aggiunto che «lungi dall’essere scoraggiato dall’atroce e illegale invasione dell’Ucraina, il presidente Xi sta mantenendo la sua “amicizia senza limiti” con il presidente russo Vladimir Putin».
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Parole che, alla vigilia del viaggio a Pechino, hanno suscitato la reazione dell’ambasciatore cinese presso l’Unione Europea, Fu Cong, secondo cui le parole di von der Leyen hanno messo in luce «una profonda ambivalenza» nella Commissione, che «da un lato si rende conto che i rapporti con la Cina sono importanti per l’Europa ma, allo stesso tempo, ha paura delle critiche degli estremisti in Europa e forse anche degli Stati Uniti».
La posizione della Commissione appare diversa diversa dalla politica praticata da Macron (e Scholz): secondo l’esecutivo comunitario l’Ue deve puntare a «ridurre i rischi»: la parola d’ordine nelle relazioni con la Cina è “de-risking”, un “decoupling” molto soft.
Von der Leyen vuole nuove regole per «garantire che il capitale, le competenze e le conoscenze delle nostre società non vengano utilizzate per migliorare le capacità militari e di intelligence di coloro che sono anche rivali sistemici», ovvero limitazioni agli investimenti europei in Cina nei settori della robotica, dell’informatica quantistica e dell’intelligenza artificiale, quelli su cui Pechino punta maggiormente per provare a raggiungere i paesi più avanzati.
Nel marzo 2019, la commissione uscente guidata da Jean-Claude Juncker varò lo “EU-China Strategic Outlook”, che ha identificato per la prima volta la Cina anche come un “rivale sistemico” dell’Ue. Ancora una volta una commissione in scadenza si appresta ad allontanare “ufficialmente” l’Europa dalla Cina, mentre Francia e Germania continuano a scommettere sui suoi mercati?
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