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La Resistenza come affare di quattro gatti?

Una risposta ad Arianna Ciccone sull’uso della storia per poter tifare guerra al 25 Aprile

Non deve stupire che Arianna Ciccone (penna di Valigia Blu e “direttrice dell’International Journalism Festival di Perugia) dica “abbiamo sempre fatto schifo, anche la Resistenza è stato un affare di poche migliaia di persone“.

La polemica viene a commento della visita di Lula in Cina in cui da una parte ha detto che il piano brasiliano per la pace in Ucraina prevede la restituzione dei territori occupati e poi dichiarati annessi dalla Russia dopo il febbraio 2022, dall’altra che gli USA devono smettere di fomentare la guerra.

Una posizione di neutralità che basta per scatenare le accuse a Lula e poi a tutte le sinistre internazionali che “fanno schifo” attestandosi su posizioni simili.

A essere generosi si potrebbe dire che Ciccone semplicemente ha letto i testi di De Felice che considera la Resistenza e la RSI due fenomeni minoritari, mentre la maggioranza della popolazione rimaneva inerte o ambigua. Questo in contrasto all’apice del consenso al fascismo come fenomeno di massa.

Su questi argomenti di De Felice torno più tardi. C’è da fare prima un MA: MA penso che questa confusione su cosa sia stata la Resistenza derivi non solo dall’esecrabile De Felice e dalla storiografia revisionista (spesso molto più becera di De Felice), ma anche da una serie di corto circuiti, ipocrisie e formule rituali che vengono da sinistra, in particolare da quegli ambienti intellettuali (inteso non in senso oggettivo di campare tra giornalismo, accademia, spettacolo e altre professioni che richiedono di elaborare e diffondere opinioni) cresciuti o trasformati dal lungo periodo dell’anti berlusconismo.

Interprete principale di questo processo è stato il gruppo Espresso che ha frullato e riciclato al suo interno l’azionismo, residui della storia socialista, ex comunisti in cerca di assoluzione, liberali vari. Tutto e il contrario di tutto purché si parlasse male di Silvio Berlusconi.

Sul piano di cosa sia stata la Resistenza, e in particolare del suo carattere di massa, si coagulano così alcuni elementi:
– soggetti che vengono dai filoni minoritari in sen
so numerico della Resistenza, azionisti e liberali, che trovano finalmente il terreno per dire che loro erano la “Resistenza vera” contro i tanti socialisti e comunisti che però in quanto tali erano altra cosa: non combattevano per la libertà ma per Stalin etc. etc.;

– gli ex comunisti che devono espiare dicendo che il PCI ha sempre mentito su tutto, in particolare su foibe, Piazzale Loreto, giustizia partigiana etc. etc.;

– un’interpretazione d’origine democristiana/istituzionale che della Resistenza ha voluto sminuire il portato militare e politico, per spingere sul valore morale e intellettuale di chi tra il 43 e il 45 ha pensato le basi per il futuro stato democratico, la Costituzione etc. etc.

L’antiberlusconismo ha permesso di tenere insieme tutte queste cose in un guazzabuglio di Bella Ciao, Fischia Il Vento, lo avrai camerata Kesserling, cortei, ufficialità, e poi ancora le sovrapposizioni con la Grande Guerra e scomuniche per chiunque osasse accostare la parola Resistenza a qualunque fenomeno post ’45.

L’antiberlusconismo però è stato un pendolo che oscillava tra la simulazione di una nuova guerra civile e il tentativo di normalizzare il rapporto con la destra, imbarcando transfughi come Casini e Follini o cercando di volta in volta di fare da sponda a un Fini o un Tosi.

Curiosamente questi personaggi con cui l’antiberlusconismo cercava di fare sponda erano quelli che venivano dalla storia del neofascismo. Ma tant’è… In quel caso tornano pure buone le tesi del De Felice. A cui adesso torno.

Il problema di quelle tesi è capirsi su cosa si intende con “minoritario”, “fenomeno di massa” e così via.

Se un fenomeno è minoritario fino a quando non coinvolge il 50%+1 della popolazione, non v’è dubbio che la Resistenza sia stata minoritaria. D’altronde la Resistenza non era un Partito-Stato come il fascismo in grado di mobilitare tutti i mezzi disponibili per la coercizione e il consenso, era un esercito di guerriglia organizzato nella metà di un paese occupato da uno dei più efficienti eserciti della storia.

In quanto tale, i partigiani combattenti non potevano che essere una minoranza. I conteggi possono variare molto, a seconda di quanto si allarghi la maglia. Giorgio Bocca riporta che nell’Aprile del ’45 si contavano dai 150mila ai 300mila partigiani, riportando che negli stessi giorni una stima pessimistica di Parri parlava di 70mila armati pronti alla guerra di manovra, una più ottimistica basata sulle fonti garibaldine parla di 100mila pronti alla manovra militare mentre il resto fa da “colorita, ma non sempre utile, retroguardia”.

In totale, sui due anni di guerra, le schede delle commissioni regionali per il riconoscimento delle qualifiche di partigiani arrivano a contare 703.716 persone. A circa 150mila venne riconosciuta entro il 1950 la qualifica di “partigiano combattente”.

Sotto” il grado di partigiano combattente venne inserita la qualifica di “patriota”. La qualifica di “partigiano combattente” era particolarmente stringente, richiedendo determinati mesi di attività a seconda del ruolo (con tanti saluti alle polemiche sui numeri infiniti di “partigiani” che si sarebbero svegliati il 24 Aprile per poter sfilare il 25 Aprile).

Va anche detto che la rottura dell’unità antifascista portò a eliminare la categoria di “benemeriti” che individuava chi aveva sostenuto i combattenti.

E qui si aggancia un altro punto importante. Come esercito di guerriglia i partigiani devono prendere risorse dalla popolazione locale.

Questo rapporto poteva essere conflittuale e assumere la forma delle requisizioni forzate (i famosi racconti tipo “il nonno mi ha sempre detto che i partigiani gli hanno rubato la mucca!“), ma di norma serviva un rapporto di consenso o quantomeno non ostilità, altrimenti una banda partigiana non può durare a lungo in un territorio.

Si stima che per sostenere un partigiano servissero dieci civili, che si esponevano direttamente al rischio di rappresaglia. Sono i famosi “benemeriti” a cui si rifiutò un riconoscimento a fine anni ’40. E bisogna ricordare che in questo novero ricadono moltissime donne che assunsero compiti di vera e propria prima linea senza essere poi riconosciute.

Tra “partigiani combattenti”, “patrioti”, e “benemeriti” e persone che hanno dato comunque sostegno alla lotta partigiana arriviamo a un conteggio nell’ordine dei milioni di persone coinvolte a vario titolo nella Resistenza. Altro che “poche migliaia“, ancora non una maggioranza sociale ma qualcosa di ben diverso da una piccola minoranza del tutto staccata dalla società che assiste inerte.

Vanno poi aggiunti almeno altri due elementi:

  • la leva. Tutti gli uomini in età d’arme erano arruolabili. In pratica, in ogni famiglia si è posto il problema se aderire o disertare. I numeri esatti della diserzione probabilmente non li sapremo mai, ma anche qui parliamo dell’ordine di centinaia di migliaia di persone.
  • Gli scioperi. Basti pensare agli scioperi nelle grandi fabbriche di Torino e Milano nel ‘43

Qui è il momento di fare un’altra distinzione: “minoritario” non è il contrario di “di massa“.

Per definizione un esercito di guerriglia è fatto da una minoranza, e in generale ogni fenomeno di opposizione che non possa sfruttare gli apparati di coercizione e consenso dello stato. Può essere minoranza molto ristretta o molto larga, ma minoranza.

Il problema è cosa è “di massa”, cioè cosa investe categorie sociali che non sono già inquadrate dentro un quadro ideologico politico.

Le centinaia di migliaia di persone che tra il ’43 e il ’45 fanno un range d’azioni che va dalla renitenza alla leva fino a essere partigiani combattenti non possono con tutta evidenza persone già inquadrate politicamente e ideologicamente. In quella condizione sono qualche migliaio di quadri socialcomunisti sopravvissuti alla clandestinità e le nuove leve che vengono dalle università.

Eppure, è linea precisa del PCI e del PSI che la guerra partigiana sia fenomeno di massa. Perché lo è ad origine: prima si sceglie di andare in banda partigiana spinti ognuno dal motivo proprio (vendetta, diserzione, necessità…), poi si accetta la disciplina della banda partigiana col commissario politico del Partito. Su questo si veda il lavoro di Santo Peli. Faceva eccezione l’organizzazione dei GAP che invece erano strettamente quadri selezionati del PCI.

Quindi, la Resistenza è stata fatta sicuramente da una minoranza, ma una minoranza di massa che coinvolgeva milioni di persone. E non poteva essere altrimenti, e mettersi a rinvangare le polemiche revisioniste e la confusione sulla Resistenza pur di poter tifare nella guerra in Ucraina è quello che, in gergo tecnico, è davvero fare schifo.

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3 Commenti


  • Pasquale

    Probabilmente è una penna al servizio dei nostalgici che tentano di mistificare la storia, per poi riscriverla,soprattutto quella antifascista.


  • Mauro

    Il nostro beneamato Presidente in visita ufficiale in Polonia, ribadendo la storica amicizia con i guerrafondai polacchi, visiterà Auschwitz accompagnato dai neonazisti del battaglione Azov ai quali forniamo generosamente armi x bombardare i civili nel Dombass…


  • ndr60

    Il beneamato visiterà Auschwitz dove immagino parlerà della sua liberazione, ad opera degli eroici polacchi supportati dai carri armati americani 🙂

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