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Tuppe tuppe marescia’! Intervista a un indagato per la strage del carcere di Modena

In questi giorni la Procura della Repubblica di Modena ha proposto l’archiviazione per centoventi appartenenti alla polizia penitenziaria, in relazione alle violenze denunciate da diversi detenuti, che sarebbero state commesse l’8 marzo 2020, durante la rivolta finita in tragedia, presso il carcere di Sant’Anna.

Abbiamo intervistato il Maresciallo X, uno tra gli indagati, che si è detto disposto a parlare, a condizione di mantenere l’anonimato.

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Allora, maresciallo, ci dica cosa pensa di questa richiesta di archiviazione sui fatti di Modena.

Innanzitutto non sono “maresciallo”. Sono sovrintendente capo coordinatore. Maresciallo si usava trent’anni fa. I tempi cambiano. Non ci riportate sempre indietro, a una vecchia idea di carcere, quando c’erano i “secondini” e gli schiavettoni. Non siamo più in quei tempi lì.

Quanto alla richiesta di archiviazione, cosa penso? Sacrosanda. Qua si è fatto un polverone in un bicchiere d’acqua. Tortura? Ma stiamo scherzando? Ma che siamo, gli Apache, che torturiamo la gente? Qua siamo tutti padri di famiglia, con una coscienza, una professionalità, sempre attenti al rispetto della legalità, che è la più bella cosa.

Capisco lo sfogo, e anche la soddisfazione per la richiesta di archiviazione, ma resta la gravità dei fatti. Dei morti cosa dice?

I morti ci sono stati, pace all’anima loro. Noi siamo i primi dispiaciuti. Ma il tribunale è stato chiaro: overdose. Si sono suicidati con le loro mani. Perché erano disperati, drogati, sbandati – poverini, pace all’anima loro – ma quella fine l’avrebbero fatta comunque, prima o dopo. Qua dentro oppure fuori, quello era il loro destino. Che ci possiamo fare noi? Andiamo contro al destino? Abbiamo provato a rieducarli. A Sant’Anna facevamo  tante attività. Anche troppe. Ma quelli sono malacarne. Non li addrizzi.

E i testimoni che hanno denunciato violenze?

Ma quali violenze, quali violenze? Qua abbiamo assistito a uno scenario calcistico.

In che senso?

Nel senso che io ti do una spintarella – ti sfioro appena – e tu ti butti per terra e ti rotoli e piangi. Perché vuoi farmi avere l’ammonizione! Vuoi farmi avere la denuncia. E magari ti vuoi prendere pure i soldi dei risarcimenti. Gli stranieri hanno capito subito la mossa, nel campionato come in mezzo alla strada. Per quello oggi si sentono tante accuse alle forze dell’ordine.

Quindi quella domenica non è successo niente?

Permettete se reitero la metafora calcistica: siamo stati provocati e c’è scappato qualche leggero fallo di reazione. Tutto qua.

Scusi, visto che parla tanto di calcio: per chi fa il tifo, lei?

C’è bisogno di chiederlo? Io sono di Sant’Antimo. Io c’ho il cuore azzurro. E che cuore. Perché qua siamo tutti padri di famiglia, che la sera torniamo a casa dalle nostre famiglie, dai nostri figli (che però li cresciamo con l’educazione, che difficilmente li vedrete drogati o altro, e non mi faccia continuare). E nel carcere ci mettiamo l’anima, io e tutti i colleghi, e veniamo ingiustamente criminalizzati.

E non abbiamo fatto settecento chilometri per venire a fare i torturatori a Modena! Se uno proprio aveva quell’indole, lo faceva a casa sua, il torturatore.

Lei ha dei figli?

Certo, il maschio che sta facendo il concorso per entrare nella Guardia di Finanza e la femmina studia giurisprudenza. Una famiglia tutta dedita alla legalità.

Lei dice che il carcere è cambiato…

Sicuro, non è più quello dei film di Alberto Sordi.

Ma i detenuti vi chiamano ancora “superiore”?

Solo volontariamente. Mica li costringiamo. È un segno di rispetto. In carcere se sei rispettoso, stai al tuo posto, fai il detenuto regolare, senza scocciare troppo – le richieste, l’infermeria, la spesa che non va bene, il reclamo, questo e quello – nessuno ti tocca. Bisogna fidarsi dell’autorità. E bisogna rispettare le sentenze della magistratura.

Ma al di là delle sentenze, sovrintendente: cosa è successo effettivamente nel carcere di Modena in quelle maledette trentasei ore?

È successo che la natura ha fatto il suo corso.

Come?!

Se tu fai l’accalappiacani e catturi i randagi e li porti al canile, quelle, le bestie, che fanno?

Che fanno?

Vonno fuji. È normale. È la loro natura. Sono randagi. Noi siamo i guardiani del canile. Li dobbiamo tenere dentro.

Ma i pestaggi, le pistolettate, i morti, tutto si giustifica?

Parliamoci chiaro, se adesso va al bar all’angolo, qua dietro, che è sempre bello affollato, e chiede a casaccio ai presenti se “tutto si giustifica”, cioè se per tenere i cani dentro al canile si possono usare le maniere un po’ forti, secondo lei, su dieci clienti, quanti sono d’accordo e quanti sono contrari?

Non…non lo so.

Glielo dico io? Dieci su dieci stanno con noi. Con i guardiani. E ci darebbero carta bianca per fare anche di peggio. Perché se a noi ci scappava la mano non finiva solo con nove morti, al Sant’Anna. Forse c’è ancora qualche buco nelle mura del cortile, se non l’hanno stuccato e imbiancato.

Ma le telecamere non hanno ripreso niente? Dove sono finite le immagini?

Certo che hanno ripreso. Ci saranno sicuramente le immagini della devastazione, di quando quei fetenti davano fuoco ai materassi e invadevano le sezioni.

E altre immagini, quelle che riguardano i vostri comportamenti?

Boh. Mica ho fatto io le indagini. Che ne so? Poi in Italia c’è sempre questo problema delle manutenzioni.

Manutenzioni? Di che?

Delle telecamere. Faccia caso: ogni volta che serve un video, le telecamere sono guaste, ferme, staccate, in riparazione. Mah. Ci sono delle foto, ma sono ambigue. Io ho visto sul giornale la foto di un collega col manganello in mano e davanti ha la testa di un detenuto; come faccio da quella foto a dimostrare che quel manganello è finito proprio sopra quella testa? E che danni ha prodotto?

Perciò i magistrati hanno archiviato. Però intanto siamo passati tutti dentro tre anni di cogna mediatica!

Ma nel caso esistessero delle immagini esplicite, come quelle dei vostri colleghi che pestano i detenuti di Santa Maria Capua Vetere?

Ma anche lì, è stato tutto ingigantito. Sono immagini fuori contesto. Se io ti do nu’ pacchero tu che fai? Mi chiami torturatore?  Ma che modo di fare è? Non c’è proporzione.

Ma là hanno picchiato anche uno in carrozzella!

Ma quelle erano cose correttive. Era il buffetto, anche i padri di famiglia ogni tanto devono allungare le mani, se no che padri sono? A Santa Maria Capua Vetere si è fatta prevenzione.

Perché gli agenti della Penitenziaria sono quasi tutti iscritti a sindacati di destra?

Perché c’è libertà di scelta. Sacrosanda. Con chi dobbiamo stare? Con chi ci attacca? Con chi ci chiama aguzzini? L’Italia siamo noi, mica quei quattro zincari che venivano a protestare davanti ai cancelli. E se ci dite torturatori gli italiani ci sbattono pure le mani.

Perché il paese è stanco, e qua ci sono garanzie per tutti tranne che per le forze dell’ordine, perché ci vogliono far vergognare della divisa; perché oggi non si può più girare tranquilli; perché se si lascia troppo la briglia sciolta come si va a finire? Come in Francia? Là vogliamo arrivare?

Grazie.

Grazie a lei. E se le serve qualcosa sempre qua ci trova. Fino alla pensione. Qua stiamo.

  * da NapoliMonitor

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