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Dieci punti per riflettere ad alta voce sulla Palestina

Seguo con attenzione, e perché no anche con interesse, diversi dibattiti televisivi e non, sugli ultimi avvenimenti, e mi fanno sentire triste e arrabbiato per quanta ignoranza o mancanza di conoscenza c’è sui conflitti in Medio Oriente.

Ho fatto una riflessione sui vari argomenti trattati in questi giorni e vorrei condividerla con chi mi segue e mi legge.

1. La maggior parte di esperti, politici, analisti e opinionisti chiamati a spiegare cosa successo il 7 ottobre, a parte la feroce condanna dell’azione di Hamas e il diritto di Israele a difendersi, hanno in comune anche il rifiuto di vedere e parlare dell’origine del conflitto. Si fermano alla convinzione che Israele ha subito un attacco e va sostenuto, senza se e senza ma, in qualsiasi rappresaglia metta in atto contro chiunque.

2. Perché non si vuole parlare delle origini del conflitto? E perché ci si ferma all’ultimo atto di violenza? Forse perché non si vuole parlare di una occupazione israeliana che dura da 56 anni, o perché questo riporta la storia alla nascita di Israele 1948, che segna la Nakba (la Catastrofe) del popolo palestinese, che a conseguenza di questa nascita è stato costretto sotto la minaccia delle armi allo sfollamento di 850.000 palestinesi dalle loro case e 520 villaggi rasi al suolo.

Forse non si vuole far sapere che da 75 anni i palestinesi vivono nei campi profughi sparsi nei paesi limitrofi. Non si vuole evidenziare che Israele non vuole attuare la risoluzione 194 dell’ONU, che aveva condizionato la sua ammissione all’ONU proprio all’attuazione di questa risoluzione, insieme ad un’altra risoluzione, la 181, che obbliga Israele a marcare i suoi confini.

Cosa che Israele non ha mai voluto fare, ed è per questo che (forse unico paese al mondo) “la più grande democrazia del Medio Oriente” non ha una carta costituzionale…

3. Non si vuole parlare delle origini vere del conflitto perché non si vuole parlare dell’assenza complice della comunità internazionale e la sua incapacità di risolvere questo conflitto che perdura da 75 anni. Non si vuole parlare del fatto che il diritto internazionale viene regolarmente violato da Israele, e nessuno lo vuole ammettere.

4. Israele è una potenza occupante e, secondo il diritto internazionale, ha l’obbligo di proteggere la popolazione occupata e non può fare nessun cambiamento demografico, o ambientale nei territori occupati e nemmeno trasferire dei prigionieri fuori dei territori occupati. Non si vuole quindi parlare di coloni e di colonie, di annessione dei Territori Palestinesi a Israele. Non si vuole parlare dei 5.700 prigionieri palestinesi, né dei 1500 detenuti amministrativi, senza capi d’accusa, in detenzione preventiva.

5. Non si vuole parlare delle incursioni notturne che vengono effettuate ogni giorno, della tortura e dell’umiliazione di un intero popolo. Si calcola che dal 1967 ad oggi, un milione di palestinesi hanno passato una parte della loro vita nelle carceri israeliane, e tanti stanno scontando 5 o 6 ergastoli.

6. Non si vuole parlare perché verrebbe fuori che 30 anni di negoziato hanno portato a un maggior numero di colonie e di coloni israeliani nei territori palestinesi occupati, per colpa dei diversi governi israeliani, ma anche della comunità internazionale che si è sempre solo limitata a condannare verbalmente queste illegalità senza prendere provvedimenti concreti al proposito.

Non se ne vuole parlare perché Israele guarda alla questione palestinese solo come un problema di sicurezza e non come a una causa nazionale e di diritto internazionale. Non se ne vuole parlare perché in tutto questo sono evidenti il fallimento della politica estera statunitensi nel Medio Oriente e l’incapacità dell’Unione Europea di avere un ruolo significativo, se non altro vista la vicinanza geografica e il cospicuo aiuto economico all’Autorità Nazionale Palestinese.

7. Non se ne vuole parlare perché bisognerebbe dire che la destra estrema israeliana ha ucciso Rabin perché ha firmato l’accordo di pace con Arafat, assassinato anche lui con la complicità di Sharon, e che quella stessa destra nella sua peggiore espressione sta al nell’attuale governo di Israele!

8. Si vuole parlare solo di oggi… dell’incursione delle forze palestinesi, e delle conseguenze, ignorando la straordinarietà dell’azione, l’emergere di capacità e potenzialità, contro uno degli eserciti più potente nella regione, che è stato umiliato da un piccolo gruppo armato. E non solo l’esercito è stato umiliato, ma tutti gli apparati di sicurezza israeliani hanno dimostrato una incapacità inaudita.

È la sconfitta dell’industria dell’esercito invincibile, caduto in modo miserabile. E con questa caduta cade anche l’idea che i palestinesi e gli arabi non siano capaci di pianificare con successo una operazione contro lo stato più potente e più protetto e coccolato dall’occidente.

Questo Occidente oggi piange per Israele dopo 75 anni spesi per conservare e mantenere ruolo e funzione alla sua creatura/base militare, utile per salvare i suoi interessi nella regione.

9. Si vuole parlare solo di rappresaglie e guerre che non faranno altro che altri massacri e altri morti. E invece si dovrebbe cercare una soluzione politica negoziale per fermare un genocidio in atto nei confronti di due milioni e quattrocento mila palestinesi che vivono a Gaza, già sotto assedio dal 2007.

10. Una via d’uscita politica è ancora possibile e auspicabile sulla base di: un cessate il fuoco immediato, uno scambio ostaggi/prigionieri palestinesi, la revoca dell’assedio illegale di Gaza, la calendarizzazione del ritiro completo dai Territori palestinesi occupati, e l’attuazione di tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’ONU che riguardano la Palestina. Perché, continuo la mia riflessione, non si parla di tutto ciò, perché?

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