Come per il conflitto tra Russia e Ucraina, è partita la batteria di insulti, accuse, infamie e, chi più ne ha più ne metta, per il caso israelo-palestinese.
Provare ad approcciarsi agli avvenimenti brutali degli ultimi giorni con atteggiamento obiettivo, analitico, che ripercorra la storia dell’ultimo secolo almeno, è percepita come una minaccia per chi tiene le fila del potere, per chi controlla informazione e menti del nostro paese.
Impossibile raccontare i misfatti, gli abusi e le violazioni perpetrate negli anni passati che potrebbero indebolire l’immagine di grande “poliziotto del mondo” (come si autodefiniscono gli Stati Uniti) o di una democrazia in medio oriente quale dovrebbe essere Israele.
Eppure, non si può costruire un futuro, tentare di percorrere una strada che non contempli l’uso della violenza se non si conosce la storia. Se, come amano ripeterci i nostri patrioti d’Italia, la nostra storia, tradizione e cultura è un vessillo da portare alto e con orgoglio perché tale cultura, tradizione, storia dobbiamo cancellarla quando non fa più comodo?
E così cancelliamo la cultura russa perché Putin ha invaso l’Ucraina (come se il popolo russo, gli artisti, gli scrittori russi fossero tutti filoputiniani, ancor prima che Putin nascesse) e così, sulla stessa scia, la cultura, la storia del popolo palestinese non va ricordata, studiata, analizzata.
Ovunque ci giriamo è un susseguirsi di riscrittura della storia, artificiale ricostruzione dei fatti, annichilimento dei pensatori autonomi, dei dubbiosi, dei critici. O si fa un atto di fede verso le “sacre scritture” imposte da Tv e giornali nostrani o meritiamo di essere dipinti come i reietti della società.
Questo è l’attuale stato delle cose che vive l’Italia, come l’Occidente, da qualche anno a questa parte (oserei dire dall’inizio della pandemia). Un continuo, incessante suddivisione tra buoni contro cattivi. I buoni, ça va sans dire, sono i seguaci dei dogmi scritti sulle tavole dei comandamenti che Governi e stampa ci offrono quotidianamente.
Eppure, al di là, delle più o meno baggianate che leggiamo ogni giorno, ci sono bambini, anziani, donne e gente inerme che muore solo perché nata dalla parte sbagliata del confine. E la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rimane un papello di parole vuote, intrise del sangue di questa anime innocenti.
Spettacolo ancor più triste è l’equidistanza mostrata dalla politica nostrana. Senza voler giustificare la violenza di Hamas, mi domando: ma Israele si aspettava di avere a fianco a sé un popolo docile e sottomesso per ancora quanti decenni?
Qualunque essere nato e cresciuto in cattività, che non ha nulla più da perdere, cova rabbia, frustrazione e violenza. Non occorre essere un fine analista politico per intuirlo.
E se accetto l’equidistanza sull’uso della violenza, non posso che schierarmi per la causa palestinese, dove gli abusi, la violenza e l’apartheid a cui è stato sottoposto il popolo palestinese è storia e non una mera ricostruzione fantasiosa.
Il disprezzo per la violenza, la ricerca della pace e di un dialogo diplomatico (ricordo che da ex parlamentare lo stesso ambasciatore italiano a Mosca, in audizione in commissione esteri, disse che sarebbe stato più opportuno far lavorare le diplomazie che spararsi addosso) non può in ogni caso far perdere la lucidità di analisi e valutazione dei fatti.
Sappiamo che l’Occidente è in crisi, gli Stati Unti hanno perso la loro egemonia economica nel mondo (causa una Cina e un oriente sempre più giovane e ricco) e causa anche un iperliberismo che ha mostrato tutte le sue crepe, fragilità, incoerenze.
Il mito della crescita perpetua è crollato. La teoria della mano invisibile che aggiusta i mercati e rende tutti ricchi e liberi è palesemente falsa, e ci si deve reinventare un modo per mantenere il controllo globale, standard di crescita non più sostenibili né raggiungibili e pertanto l’unico modo per mantenere una parvenza di egemonia è quella di trovare un nemico.
Oggi è la Russia di Putin e i terroristi di Hamas raccontandoci la menzogna che entrambi vogliono soffocare e annichilire l’occidente democratico.
Innanzitutto Putin con l’Occidente ci commerciava e faceva (lui e le oligarchie russe) grandi affari, per cui la storia che voglia distruggere l’Occidente mi sembra eccessiva. Su Hamas…che dire? Come farebbero a distruggere l’Occidente “democratico” ? Con quali mezzi?
Questa falsa narrazione che gli Stati Uniti di Biden ci danno sui nuovi nemici del mondo, non mi illudono certo che cani sciolti, lupi solitari, possano compiere atti di violenza in giro per l’Occidente (come i recenti casi in Francia e a Bruxelles).
Ma anche qui, vorrei osservare, più che una strategia di Hamas o chissà quale altro gruppo terroristico, c’è dietro la regia di un mondo che ha sempre emarginato i diversi, i fragili, i poveri, gli immigrati che hanno trovato nel radicalismo una ragione d’essere, di identità che lo Stato di accoglienza probabilmente non gli ha dato o non a sufficienza. Non sottovaluto il rischio attentati in Europa e in Occidente, ma tenderei ad escludere il filo conduttore con Hamas.
In sostanza, ci sarebbero validissime e documentate motivazioni per cui tutte le guerre oggi, sono inutili e frutto di un assestamento di poteri nel mondo. La violenza perpetrata da Israele su Gaza è inammissibile, viola radicalmente lo jus in bello, motivo per cui Israele dovrebbe essere condannata per la sproporzione dei mezzi usati e per l’attacco indiscriminato alla popolazione civile, che non è certo qualificabile come “terrorista”.
Ma quale sarà il tribunale internazionale che oserà condannare Israele?
Nonostante gli sforzi fatti nei secoli, a partire dalla Società delle Nazioni all’odierna ONU, per cercare di regolare i rapporti tra Stati, la verità che mi son data è che il diritto internazionale è essenzialmente il diritto del più forte, dove regna l’anarchia, e dove l’unico giudice e poliziotto, ad oggi, sono stati gli Stati Uniti e in misura minore i suoi alleati, ma dove all’orizzonte si affacciano nuovi aspiranti poliziotti e giudici del mondo.
Per queste ragioni il 4 novembre, saremo a Roma per gridare ancora una volta di fermare tutte le guerre. Far cessare le armi e far parlare le diplomazie. Non sono le nostre guerre, non sono fatte per l’interesse dei popoli ma per affamare e annientare i popoli.
*ex parlamentare di ManifestA, coordinamento nazionale di Unione Popolare
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