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Il vicolo cieco di Netanyahu

Quella in Ucraina e quella a Gaza possono essere considerate due guerre costituenti del nuovo ordine mondiale in gestazione. È di fondamentale importanza che tali guerre si concludano al più presto, colla riaffermazione dei principi fondamentali del diritto internazionale oggi in forte crisi.

E’ tempo, in particolare, di fermare definitivamente il vero e proprio genocidio in corso a Gaza e in Cisgiordania contro il popolo palestinese. Con centinaia di avvocati appartenenti a decine di Paesi differenti abbiamo chiesto che venga fatta piena luce sugli eventi del 7 ottobre e che vengano puniti i massacri di civili da chiunque compiuti.

La traduzione italiana di tale denuncia è sul sito del CRED (www.credgigi.t) e chiunque voglia aderire può farlo ancora, inviando una mail a ricercademocrazia@gmail.com, indicando la sede in caso di entità collettive, la professione esercitata in caso di cittadini, e il Foro di appartenenza in caso di avvocati.

Va sottolineato come l’imputazione di genocidio nei confronti dell’attuale governo israeliano appare ben fondata nelle norme e nella prassi internazionale. Sono oltre quindicimila le vittime civili palestinesi fin qui accertate, almeno un terzo delle quali minorenni. I bombardamenti indiscriminati effettuati dall’aviazione militare israeliana su ospedali, chiese, scuole, campi di rifugiati, abitazioni civili, a volte nei confronti di giornalisti, intellettuali e avvocati presi di mira in quanto tali colle proprie famiglie.

A questo immane massacro si sono accompagnate esplicite dichiarazioni di intenti promananti dalle massime autorità dello Stato israeliano, a cominciare dallo stesso Presidente Isaac Herzog, che hanno sostenuto la necessità di colpire il popolo palestinese di Gaza in quanto tale.

Sono presenti quindi tutti gli elementi sia soggettivi che oggettivi di gravi crimini, non solo genocidio, ma anche crimini di guerra e contro l’umanità, tutti punibili ai sensi dello Statuto della Corte penale internazionale.

Quest’ultima è di fronte a una sfida di tipo esistenziale e fondamentale. Se non svolgerà il suo ruolo, che è quello di accertare e punire tali crimini, la Corte e il suo Procuratore Khan renderanno evidente a tutto il mondo la propria sostanziale inutilità, affondando definitivamente il progetto di giustizia internazionale penale super partes ed imparziale nato colla Conferenza istitutiva della Corte svoltasi a Roma nel 1998.

Tale discorso si applica anche agli eventuali crimini commessi durante la giornata del 7 ottobre da parte di forze palestinesi, riconducibili ad Hamas e altre organizzazioni.

Ma, come ben messo in evidenza nella denuncia che abbiamo presentato, l’inchiesta in merito deve essere svolta in modo autonomo dalla Corte, dato che in varie occasioni la magistratura israeliana ha purtroppo dimostrato la propria inaffidabilità, insabbiando le accuse mosse nei confronti delle autorità militari israeliane in una serie di casi, come da ultimo quello dell’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, così come in vari altri episodi.

In linea di principio va riaffermato, al riguardo, che se è vero che il diritto internazionale consente ai popoli oppressi di ricorrere alla lotta armata per affermare il proprio diritto all’autodeterminazione, specie in caso di occupazione militare, è pure vero che tale lotta deve rispettare le norme del diritto internazionale umanitario.

Al di là del ruolo della Corte penale internazionale, e più in generale dell’accertamento e punizione dei crimini, che per i motivi detti riveste importanza fondamentale, occorre delineare una via d’uscita politica e pacifica al conflitto.

La continuazione della guerra e dei massacri, che si scontrano contro la crescente resistenza, in varie forme, delle organizzazioni e del popolo palestinese, pare al momento la scelta prevalente, irresponsabile e criminale, delle élites governative e militari israeliane.

Ma tale scelta appare destinata a infrangersi anche colla crescente condanna di molti Stati e di quella parte, quantitativamente e qualitativamente preponderante, dell’umanità che non si rassegna alla disumanizzazione del mondo e della vita.

Assolutamente negativo da questo punto di vista appare il ruolo finora svolto dagli Stati Uniti e dalla maggior parte degli Stati europei, con in vergognosa pole position il governo di Giorgia Meloni, che ha finora avallato il genocidio in corso, mediante un sostegno sia militare, mediante accordi che costituiscono una violazione palese dei principi fondamentali del diritto internazionale, che politico, mediante l’intollerabile astensione sulle risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedevano il cessate il fuoco e la fine del massacro.

In tal modo Meloni, Tajani, Crosetto, Salvini & C.si sono resi complici del genocidio in atto. Abbracciando la folle politica di Netanyahu che ha dichiarato più volte la necessità di smantellare Gaza e di annientarne la popolazione per sconfiggere militarmente Hamas e le altre organizzazioni palestinesi, costoro hanno alimentato il progetto genocida e razzista che costituisce oggi il principale ostacolo alla pace.

L’unica possibile  via d’uscita deve contemplare ovviamente il ritiro completo e totale delle Forze armate israeliane dai territori palestinesi, come pure lo smantellamento delle colonie abusive e illegali esistenti su tali territori.

Ma occorre anche che gli Stati o lo Stato esistenti nella regione devono essere caratterizzati da principi di laicità e garantire la piena uguaglianza di tutte le persone soggette alla loro sovranità, quale che ne sia l’etnia. religione, genere e le altre caratteristiche sociali.

Solo a tali condizioni si potrà infatti instaurare una pacifica convivenza e una fattiva cooperazione nell’area. Ciò comporta in particolare lo smantellamento di ogni normativa discriminatoria e del carattere de facto neocoloniale assunto dallo Stato di Israele.

Il governo di Benjamin Netanyahu si è messo con ogni evidenza in un angusto vicolo cieco. Il suo proposito di annientare Hamas (e le altre organizzazioni armate della resistenza  palestinese) si rivela inattuabile dato il forte radicamento di tali organizzazioni all’interno della società palestinese, destinato a crescere per effetto dei massacri in atto.

Tali massacri sfregiano ogni giorno di più l’immagine internazionale di Israele, isolandolo rispetto al resto della comunità internazionale e motivando le campagne di boicottaggio economico in atto. L’enorme discredito derivante dal massacro si abbatte anche sui complici internazionali di Israele, in primo luogo gli Stati Uniti e i principali Stati europei, coll’unica eccezione della Spagna.

Inoltre ne risulta un danno irrecuperabile per l’economia israeliana, colpita sia dalla necessità di ferma prolungata per buona parte della forza-lavoro indigena sia per il venire meno di quella di tipo coloniale offerta dai Palestinesi.

I nuovi equilibri internazionali che si vanno delineando in un nuovo contesto a carattere spiccatamente multipolare costituiscono un’occasione senza precedenti per far avanzare verso la necessaria soluzione pacifica.

Sempre più evidente appare il declino del potere degli Stati Uniti, il cui presidente, il vecchio, malfermo e scarsamente lucido Biden, si avvia malinconicamente alla sconfitta, che sarà in buona parte determinata proprio dalla sua inaccettabile complicità con Netanyahu e il suo progetto genocida.

La soluzione pacifica è l’unica alternativa alla perpetuazione del conflitto in forme sempre più spietate e disumane e per questo tutte le forze sensibili alle ragioni della pace devono mobilitarsi per ottenerla, nella piena consapevolezza che gli orrendi massacri in corso sono solo gli ultimi sussulti di un sistema mondiale in crisi irreversibile e destinato a perire.

Gli storici del futuro, sempre se ci sarà un futuro, ricorderanno i massacri di questi giorni come il frutto dell’atroce agonia di un sistema plurisecolare fondato sull’oppressione e lo sfruttamento. I nomi di Netanyahu, Biden, Sunak, Macron, Scholz, Giorgia Meloni, ecc. sono già scritti a caratteri indelebili nel Libro dei crimini e dell’infamia, anche a prescindere dalle doverose iniziative della magistratura interna e internazionale.

Il popolo palestinese, che da oltre settant’anni sta pagando un prezzo enorme in termini di vittime e di sofferenza indicibile dei propri componenti, sarà senza dubbio beneficiario di questa soluzione.

Ma di essa beneficerà anche quella parte non trascurabile del popolo israeliano che non si rassegna a un ingrato destino di carnefici ed oppressori e che ripudia giustamente la visione razzista e suprematista oggi fatta propria dal governo israeliano, a cominciare dal Primo ministro Benyamin Netanyahu e dai suoi accoliti apertamente nazifascisti, visione che sta producendo in questi giorni, a Gaza come pure in Cisgiordania, eventi che rappresentano la negazione di ogni più elementare principio e spirito di umanità.

La ricerca di una nuova unità del popolo palestinese pare in questo quadro necessaria, come quella di una nuova classe dirigente che superi le contrapposizioni e le insufficienze per un verso di Hamas e per un altro dell’ANP.

Per arrivare alla pace occorre ripudiare totalmente questa visione e procedere a una totale rifondazione di tutte le entità collettive operanti nell’area.

Nel frattempo occorre che la comunità internazionale si assuma le proprie responsabilità che implicano anche il dispiegamento di forze internazionali di interposizione dotate di tutti gli strumenti necessari ad assicurare la protezione dei civili e la ricostruzione delle strutture distrutte dai bombardamenti.

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