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L’indifferenza davanti al genocidio

Un genocidio si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Un genocidio. Eppure, si resta distaccati, come se una malattia dello spirito ci impedisse di riconoscerlo vicino; come se tutto quell’orrore non ci riguardasse.

Non è facile convivere con questa indifferenza, che non ha nulla a che vedere con la partecipazione alla specie umana. L’atlantista può permettersi il lusso del cinismo; d’altronde, per esso conta solo l’appartenenza a un Occidente immaginario: il genocidio può persino essere utile ad affermare la propria idea di mondo.

Ma gli altri? Quelli che non si nutrono di militarismo e di ipocrisia, dove sono? Come si può vivere in pace con se stessi di fronte a un genocidio?

L’orrore di Gaza non è segreto, basta guardare bene; si può vedere l’orrore anche senza sapere nulla della storia di quel conflitto. Tutto ciò che accade laggiù è documentato; ed è davvero fuori-scala: una devastazione umana e materiale senza precedenti.

Rimani in silenzio quando i bimbi dormono, non quando muoiono – così recitava uno striscione esposto dai tifosi di una squadra di calcio turca.

Per prendere la parola, non serve conoscere i tratti profondamente razzisti del sionismo, o la storia di decenni di occupazione militare e di negazione del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi; non serve sapere dei massacri o della segregazione che subisce questo popolo, e ben prima del 7 ottobre; basterebbe solo provare vergogna di se stessi.

Raramente capita di essere testimoni di un genocidio; e può capitare di non sapere come collocare nella propria coscienza questa tipologia di orrore. Tuttavia, quell’evento si impone in tutta la sua brutalità, a tal punto da diventare indifendibile ogni forma di ignoranza o, peggio, di indifferenza (morale e storica).

Si manifesta, nella Striscia di Gaza, una politica di uccisioni di massa, una vera e propria strage pianificata; come possiamo tollerarla? Qual è la distanza che separa la conoscenza dell’evento dall’azione?

Ho sempre pensato che ogni persona dovrebbe condividere la sorte dei propri simili: assumere su di sé il destino dell’intera umanità. Ogni persona dovrebbe avere la consapevolezza di collocarsi in un mondo abitato da altri esseri, in tutto simili a noi; e comportarsi di conseguenza, così da affermare gli interessi generali a scapito di quelli particolari (siano essi di classe, di nazione o di tribù).

E oggi questa consapevolezza non può che disporsi come rifiuto di ogni strategia di tipo coloniale o imperiale, dove una nazione si appropria delle risorse – umane e materiali – di un’altra nazione o di un popolo, limitandone l’indipendenza. Anche il genocidio dei palestinesi si colloca in questo contesto.

Ma aggiungo anche che, nell’aggravarsi della situazione, lo sforzo deve riguardare l’interruzione immediata del comportamento criminale di Israele; e ognuno dovrebbe, con i mezzi che gli sono più consoni, contribuire alla richiesta di un “cessate il fuoco” immediato.

Essere umani significa riconoscere in se stessi l’altro; significa assumerne il carico di orrore a cui è costretto, cercando di porvi rimedio; significa impegnarsi per sconfiggere – in se stessi e nella storia – quanto permette al genocidio di palesarsi.

Tra il cinismo dell’atlantista e l’indifferenza ci può essere un’altra responsabilità, quella di chi si vede dentro lo stesso abisso di chi, in queste ore, sta subendo una forma di sterminio.

La vita è – anche – reazione alla brutalità della storia.

* da Facebook

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1 Commento


  • Sergio

    orribile! io continuo a pensare che “l’interesse di classe” non è un particolare come la nazione, la tribù ecc ma coincide con quello “generale” nel senso dell’umanità…

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