Per cominciare va rovesciata totalmente l’affermazione del guerrafondaio Gori, esponente del PD vicino al complesso militare industriale italiano, secondo il quale l’unico discrimine per un fronte che vada dalla sinistra a Renzi è il sostegno a Kiev.
Affermazione da leggere insieme a quella resa da Giorgia Meloni dopo il fosco G7 di Borgo Egnazia e il misero fallimento della farsesca “ Conferenza di pace” di Lucerna, secondo la quale pace oggi significa la resa dell’Ucraina.
E guerra sia quindi, tanto più che almeno per il momento il suo peso ricade sulle spalle della gioventù ucraina e russa e il complesso militare industriale prospera, ottenendo rese finanziarie sempre più cospicue ed esaltando i suoi valori di Borsa e di mercato.
La guerra è il migliore affare per il capitalismo morente e questo la furbetta di Palazzo Chigi l’ha capito molto bene e si suppone che farà di tutto per farlo capire alle destre emergenti cui vari popoli europei, disorientati dalle devastazioni del neoliberismo e spaventati, per l’appunto, dalla guerra, hanno voluto dare un certo spazio che deriva anche dai fallimenti e dall’ afasia di altri, si tratti di Macron, Scholz con annesso verdume crucco, ecc.
Costoro, si tratti di neoliberali rampanti o socialdemocratici ammuffiti, avevano chiaramente messo la guerra nel proprio programma e sono stati puniti dall’elettorato anche per questo. Non si registra tuttavia una chiara e soddisfacente affermazione delle forze pacifiste.
Per limitarci all’ambito italiano, al buon successo di Alleanza Verdi Sinistra che sulla questione si è nettamente differenziata dalle posizioni guerrafondaie dei Verdi tedeschi, fanno da contrappunto il chiaro cedimento dei Cinquestelle e l’amaro flop di Pace, Terra e Dignità.
Soffermiamoci un attimo su quest’ultima. Innanzitutto per dire che di fallimento si tratta nonostante i toni cautamente ottimistici di chi, come il segretario del PRC Maurizio Acerbo, ha voluto rimarcare il fatto che comunque PTD ha preso più voti di Unione Popolare alle ultime elezioni politiche.
Davvero un po’ poco per chi avrebbe voluto rappresentare il pacifismo italiano che sicuramente va ben al di là dello striminzito 2,5 per cento ottenuto da Michele Santoro e dai suoi seguaci. Quest’ultimo dal canto suo ha attribuito la sconfitta ai “demoni della guerra”, sorta di evocazione della stregoneria e delle forze del Male che appare anch’essa scarsamente soddisfacente alla luce della necessità di un’analisi razionale della situazione.
Al riguardo vanno invece svolti ragionamenti che in parte trascendono
la dimensione programmatica imperniata sul pacifismo, ma che pure vanno fatti per sottrarsi alle trappole del giustificazionismo spicciolo o dell’attribuzione della responsabilità al destino rio e crudele.
In parte si tratta di questioni di carattere generale dalle quali possiamo qui prescindere quali la soglia del quorum, la tendenza verso il bipolarismo e il voto utile.
A parte ciò va chiamata in causa la perniciosa coazione a ripetere costituita dall’ennesima ricerca del Papa straniero, deus ex machina al quale umilmente consegniamo, profondamente consapevoli della nostra indegnità, il bastone del comando. Cosa ben diversa dalla necessaria ricerca di unità e di convergenza con settori indipendenti.
Ciò si ricollega peraltro a una declinazione del pacifismo prevalentemente in chiave “figli dei fiori”.
La pace quindi non va astrattamente predicata ma sostenuta in modo coerente avversando le implicazioni dell’economia di guerra sull’attuale deplorevole stato dell’economia e della società.
Ci si chiede perché mai uno slogan rozzo ma espressivo come “Abbassate le armi, alzate i salari” non abbia trovato adeguato spazio nella propaganda elettorale.
Ma il problema è ovviamente ben più vasto e rimanda a quello irrisolto del radicamento sociale, che non può certo essere affrontato varando a ogni elezione un nuovo raggruppamento (vedi sopra). Né, come visto alla luce dei risultati elettorali, ci si può illudere di risolvere questo problema coll’innegabile maggiore visibilità mediatica di Santoro.
Ma c’è di più. Oggi il pacifismo va necessariamente ricollegato alla crisi di egemonia del campo occidentale, che è irreversibile e determina storicamente il brodo di coltura della guerra.
In questo senso pare davvero imperdonabile che il leader riconosciuto di PTD abbia affermato, pochi giorni prima delle elezioni, che alla NATO non possiamo rinunciare perché essa comunque nella situazione attuale rappresenta un fattore di sicurezza. Un clamoroso autogol politico che la dice peraltro lunga sull’estrema confusione strategica albergante nel gruppo dirigente di PTD.
Affermazione che va totalmente rovesciata alla pari di quella di Gori citata all’inizio di questo pezzo.
È solo fuori e contro la NATO che il popolo italiano troverà la sicurezza, finendo di vivere l’angosciosa condizione in cui viviamo dipendendo dalle ubbie e dalle demenziali dichiarazioni di uno Stoltenberg qualsiasi.
È solo fuori e contro la NATO che il nostro Paese, pur sempre, sia pure in netta decadenza, collocato all’interno delle principali economie mondiali e dotato di una storia importante, nonostante gli attuali Meloni, Lollobrigida, Tajani, il ladro di profumi Fassino e tutta la genìa malandata ospite del nostro ineguagliabile zoo politico, potrà finalmente trovare una collocazione indipendente e costruttiva nell’ambito del nuovo ordine internazionale che nonostante tutto si va creando.
Obiettivo non da poco, certamente, ma su cui occorre lavorare con continuità e coerenza, commisurandovi la sinistra unitaria da rilanciare, l’unica per la quale oggi vale la pena di militare e lottare.
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Rosa Amodei
fuori e contro la NATO. Unita’ della Sinistra. Radicamenti sociale. No ai personalismi ma programmi unitari che guardino ai beni comuni.