L’esplosione di una bomba nel sud del Libano ha investito un automezzo dell’esercito italiano impegnato nella missione Unifil, provocando il ferimento di sei soldati italiani, nessuno dei quali appare in pericolo di vita. Lo ha detto lo Stato maggiore della Difesa italiano, parlando del primo attentato dinamitardo degli ultimi tre anni. “Il bilancio è di sei italiani feriti, di cui due in condizioni gravi, ma nessuno è morto”, ha detto al telefono a Reuters Massimo Fogari, portavoce dello Stato maggiore della Difesa. Secondo il portavoce nessun militare italiano coinvolto nell’esplosione è in pericolo di vita. In precedenza fonti della sicurezza libanesi avevano parlato di un peacekeeper morto e di quattro feriti in un attacco compiuto in una autostrada molto frequentata verso il porto di Sidone. I veicoli del contingente militare italiano in Libano operativi delle Nazioni Unite, viaggiavano su un’autostrada nei pressi di Sidone, quando, “alle 15.55 ora italiana”, il mezzo “non corazzato” con a bordo i soldati italiani è stato investito dall’esplosione di “una bomba rudimentale” lasciata dietro un muro, ha raccontato il Ministro della Difesa La Russa. L’attentato, ancora non è stato rivendicato
L’ultimo attacco contro i soldati dei contingenti militari impegnati nella missione Unifil risale al gennaio del 2008, quando un ordigno investì un veicolo lungo l’autostrada a sud di Beirut. Il bilancio fu di due soldati feriti. Nel giugno del 2007 una bomba esplosa lungo il confine con Israele provocò la morte di sei soldati: tre spagnoli e tre colombiani.
Michele Giorgio
Strano agguato terroristico, non rivendicato, contro il contingente italiano Unifil: non morti, per fortuna, ma sei feriti gravi, «in via di guarigione»
In serata sono state ridimensionate le conseguenze dell’esplosione dell’ordigno, poi risultato rudimentale, che ieri pomeriggio ha colpito la jeep italiana, ad un km da Sidone, vicino allo stadio e a poche centinaia di metri da un posto di blocco delle Forze Armate libanesi. All’inizio si era parlato di uno-due morti e di quattro feriti ma successivamente il generale Massimo Fogari, portavoce del ministero della Difesa, ha riferito che il bilancio dell’esplosione è stato di sei feriti, di cui due in condizioni gravi. I medici libanesi hanno poi comunicato che anche il militare italiano che aveva riportato le ferite più serie era «fuori pericolo» e che gli altri cinque hanno riportato ferite non gravi. Solo pochi giorni fa c’era stato il passaggio di consegne fra la Brigata di cavalleria «Pozzuolo del Friuli», tornata in Italia, e la Brigata meccanizzata «Aosta» che si è dispiegata nella zona di competenza in Libano del sud. In questi cinque anni di partecipazione al contigente Unifil – che vigila sulla tregua seguita alla guerra tra le truppe israeliane e Hezbollah combattuta in Libano del sud nell’estate del 2006 – non ci sono state perdite tra i soldati italiani. L’unico precedente di nostri militari morti in Libano risale al 6 agosto 1997. Durante un volo di addestramento un elicottero AB205 precipitò al suolo, provocando la morte di quattro tra soldati e carabinieri.
Alle condanne per l’accaduto giunte dal governo Berlusconi e da varie personalità politiche e istituzionali italiane – il leghista Calderoli ha chiesto il ritiro dei soldati italiani e il ministro degli esteri Frattini da parte sua conferma un «disimpegno» graduale della missione Leonte (1.780 soldati) – si sono aggiunte quelle Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che ha sottolineato che si è trattato di un attentato «ancora più deplorevole» perchè compiuto nella Giornata internazionale delle Forze di Pace che si è svolta al Palazzo di Vetro e, in Libano, al quartier generale dell’Unifil a Naqoura per ricordare i caschi blu morti in servizio.
Sulla stessa strada dove ieri è avvenuto l’attacco contro il convoglio italiano, già nel 2008 un ordigno era esploso provocando il ferimento lieve di due militari irlandesi. Allora si parlò di un attentato di un gruppo qaedista e si fece riferimento a Fatah al Islam, la formazione armata protagonista nel 2007 degli scontri a nord di Tripoli con l’esercito libanese costato la vita a centinaia di persone oltre alla distruzione del campo profughi palestinese di Nahr al Bared. Fatah al Islam venne chiamato in causa perché, secondo il ministero dell’interno libanese, nel gigno 2007 aveva colpito un convoglio dell’Unifil nel Libano del sud uccidendo tre militari spagnoli e tre colombiani. Il gruppo qaedista sarebbe stato responsabile di diversi attentati in Libano, in precedenza frettolosamente attribuiti ai servizi segreti siriani, tra i quali quello del 13 febbraio ai minibus di pendolari nel villaggio cristiano di Ain Alak che causò la morte di tre persone e il ferimento di altre 22.
Molti dubitano che Fatah al Islam esista ancora e che sia operativo in Libano. È certo però che a Sidone e, soprattutto, a Tripoli, non mancano leader e militanti salafiti che si ispirano al qaedismo e che apertamente o a mezza bocca negli anni passati hanno definito il contigente dell’Unifil un obiettivo «legittimo». Una lettura ben diversa dell’attentato di ieri a Sidone contro i soldati italiani viene data dai libanesi anti-siriani secondo i quali l’attacco sarebbe stato realizzato da agenti al servizio di Damasco per «avvertire» l’Occidente che la Siria reagirà provocando instabilità e caos alle sanzioni nei suoi confronti decise di recente da Usa e Europa.
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