Il segretario alla Difesa statunitense Ashton Carter e l’omologo malese Hishamuddin Husein navigheranno domani a bordo dell’incrociatore Usa Theodore Roosevelt in acque rivendicate dalle Repubblica popolare cinese nel Mar cinese meridionale. Alle rivendicazioni cinesi, sostenute da un crescente impegno di Pechino a espandere le aree emerse già in suo possesso e a costruirvi strutture stabili, si oppongono paesi come la Malesia, le Filippine e il Vietnam – paesi più prossimi territorialmente e con vasti interessi nell’area – e soprattutto ma anche gli Stati Uniti che negli ultimi anni hanno spostato in Estremo Oriente ingenti forze militari stringendo accordi con numerosi partner per l’allargamento della propria presenza militare o per la realizzazione di nuove basi.
Il contenzioso ha già tenuto banco nell’incontro in corso dei ministri degli Esteri dei dieci paesi membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) ed un riflesso nella cancellazione del comunicato che avrebbe dovuto segnalare una posizione comune dell’organismo su questioni che interessano quasi tutti i paesi aderenti.
In qualità di osservatori, all’evento hanno partecipato anche Usa e Cina, a loro modo protagonisti.
Poche ore prima dell’annuncio della presenza di Carter e del ministro malese a bordo dell’incrociatore che da tempo naviga in acque contese e che già ha sollevato le ire di Pechino, il ministero della Difesa cinese ha indicato come “certi paesi” al di fuori dell’area fossero responsabili del mancato comunicato finale e come gli stessi avessero cercato di spingere a inserirvi temi “non collegati” a quanto previsto nell’incontro.
Solo ieri, a Kuala Lumpur, lo stesso Ashton Carter aveva ribadito al collega cinese Chang Wanquan che le Forze armate americane continueranno a operare nel Mar cinese meridionale e che Washington non riconosce le pretese territoriali cinesi e le azioni unilaterali di Pechino nella regione.
Le provocatorie azioni della marina militare statunitense hanno già nei giorni scorsi fatto dire a responsabili politici e militari di Pechino che il braccio di ferro potrebbe scatenare una guerra dalle conseguenze catastrofiche. Un conflitto che potrebbe esplodere anche in conseguenza di una ‘scintilla’ di modesta entità, ha avvertito il comandante della Marina militare cinese. “Se gli Usa continuano in questo tipo di azioni provocatorie e pericolose – ha detto l’ammiraglio Wu Shengli al capo della flotta Usa John Richardson nel corso di una videoconferenza- ci potrebbe facilmente essere una forte pressione tra le forze di prima linea delle due parti sia in mare che in cielo, o anche un piccolo incidente che a sua volta potrebbe provocare una guerra”.
Le affermazioni dell’ammiraglio di Pechino facevano riferimento alla comparsa, martedì scorso, del cacciatorpediniere Uss Lassen nelle acque dell’arcipelago Spratly, un ammasso di isolotti e atolli sul 10° parallelo tra le coste del Vietnam e quelle delle Filippine, i cui fondali celano ingenti giacimenti di petrolio. Si tratta di uno dei tanti territori rivendicati dalla Cina insieme a tutto il tratto circostante nel Mar Cinese Meridionale, su cui accampano pretese però anche Vietnam, Filippine, Brunei, Malaysia e Taiwan. Per anticipare i propri competitori, nel luglio scorso Pechino ha iniziato dei lavori di espansione della superficie delle isole artificiali già realizzate nell’area, ultimando anche una pista d’atterraggio.
Alle accuse di sconfinamento di Pechino il governo di Washington ha reagito citando l’Unclos, la convenzione dell’Onu sul diritto del mare, che pone la distanza limite della navigazione dalle isole in 12 miglia nautiche, anche se la convenzione delle Nazioni Unite considera quel limite valido per le isole naturali, non per quelle create dall’uomo.
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