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La logica giustificazionista del genocidio

Tutte le operazioni militari nella Striscia di Gaza sono state accompagnate da enunciati genocidari. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: dal presidente israeliano Herzog all’ultimo dei soldati, ogni proposizione esorta esplicitamente allo sterminio dei palestinesi.

Il fatto, già di per sé molto grave, avrebbe dovuto provocare un dibattito sulla relazione tra la volontà politica di Israele e le sue pratiche militari, che non a caso culmina nella rivendicazione da parte di Netanyahu di occupare stabilmente una parte importante della Striscia, rivelando un interesse che esula dagli scopi dichiarati: la distruzione di Hamas promette qualcosa di ben peggiore.

Quegli enunciati, invece, sono seguiti dal silenzio di media e politici occidentali, che preferiscono non affrontare la reale postura israeliana. Così, per esempio, il presidente Mattarella può stringere senza problemi la mano del suo omologo Herzog, benché quest’ultimo abbia più volte affermato che «a Gaza non esistono civili»; oppure il Congresso degli Stati Uniti può applaudire convintamente Netanyahu, conferendo legittimità alla sua visione strategica improntata sull’espulsione dei palestinesi.

Fin dall’inizio della guerra contro Gaza si è costruita una narrazione quasi mitologica, dove l’organizzazione concettuale sviluppa un discorso giustificazionista. Avviene allora che alcuni termini – quello di antisemitismo, per esempio – si stacchino dal loro significato originario e vengano utilizzati per influenzare tanto la ricezione dei fatti quanto l’identificazione con Israele.

Di questo discorso giustificazionista è possibile isolare alcuni elementi che caratterizzano la narrazione filo-israeliana. Il primo riguarda la data del 7 di ottobre, da intendere come punto d’inizio di questa tragedia; tutto ciò che accade a Gaza germoglia da quell’attacco e non è da porre in relazione con un’occupazione che dura da decenni e che aveva trasformato la Striscia in una “prigione a cielo aperto”.

Il secondo è una diretta conseguenza del primo e riguarda la responsabilità di quanto sta accadendo ai palestinesi; giacché Israele si sta difendendo, la colpa è soltanto di Hamas.

Quando le ragioni e i torti trovano origine in un evento che viene trattato isolandolo dal contesto storico e politico in cui accade, non può che delinearsi una posizione astratta, priva di agganci con la realtà.

Allo stesso modo, quando un comportamento criminale viene derubricato a pura e semplice reazione, viene sottratto al giudizio di merito, ovvero ritenuto autonomo rispetto al diritto internazionale. Pertanto, il discorso giustificazionista è tipicamente ideologico, giacché viene organizzato allo scopo di assolvere Israele.

Bisogna inoltre rilevare un altro elemento, che riguarda l’artificioso collegamento tra le forme e i modi dell’elaborazione discorsiva filo-israeliana ai valori tipici del pensiero occidentale. Istituire questo collegamento vuol dire inquadrare gli evidenti crimini di guerra compiuti nella Striscia di Gaza all’interno di un senso ideale e morale.

Israele diviene allora il baluardo della democrazia e il rappresentante del sistema occidentale in Medio Oriente, mentre i palestinesi vengono sottratti alla loro specificità di popolo che subisce un’occupazione per essere inquadrati come i rappresentanti di un sistema autocratico e medioevale di tipo islamista.

Eppure, è la stessa “macchina formale-sintattica” del discorso giustificazionista a consentire di cogliere l’inganno che contiene il richiamo ai valori occidentali. Lo strappo tra questi e il comportamento di Israele è infatti netto; anche una misurazione parziale e schematica non mancherebbe di individuare le contraddizioni e le forzature.

Per esempio, non si può definire democratico uno stato che pratica sistematicamente l’apartheid; oppure che garantisce privilegi sulla base dell’origine etnica; o ancora, solo forzando il senso della parola “democrazia” ci si può illudere che uno stato che promuove il colonialismo “da insediamento” possa rientrarci.

È la stessa logica giustificazionista che smentisce se stessa, mostrando le proprie fragilità argomentative e le proprie forzature ideologiche.

Ora, che il discorso sui valori sia arbitrario e, alla fine, poco efficace per comprendere o valutare una condizione, credo sia evidente; è altresì vero che i valori esistono e sono oggetto, spesso, di una lotta di definizioni.

Per cui ciò che rimanda a una democrazia egualitaria in alcuni, può divergere da ciò che rimanda a una democrazia identitaria o liberale in altri; ai valori occidentali appartengono, per esempio, la libertà individuale e quella di stampa e parola, ma anche quella di concorrenza, che apre a esclusione o privilegi. I valori possono essere essi stessi un prodotto dello scontro tra idealità diverse.

Ma se accettiamo, per esempio, la difesa del diritto internazionale come un fondamento della cultura occidentale, ecco che ci sottraiamo all’arbitrarietà delle interpretazioni ideali o valoriali per entrare in quello delle verifiche processuali.

Nessuno, a questo livello, può giustificare Israele. I numeri della guerra di Israele contro i civili palestinesi sono impressionanti, tali da non essere giustificabili.

Ma se i media e i politici occidentali continuano, nonostante l’evidenza contraria, a giustificare l’operato di Israele, che accade alla loro credibilità? L’attitudine egemonica degli Stati Uniti presuppone la stabilità in Medio Oriente; Israele è un alleato strategico, dunque il genocidio può completarsi.

Ma l’Europa? Che ne è della sua vocazione a disperdere, dalla sua costituzione, tanto la violenza coloniale che l’arroganza che discrimina sulla base dell’etnia? Cedere così vistosamente sul piano dei propri valori, non è forse il sintomo di un grave declino?

I media e i politici occidentali stanno contribuendo a istituire una zona franca del diritto, con uno stato che può permettersi di restare al di fuori della giustizia internazionale. Così, non stanno soltanto consentendo una “sovrapproduzione di orrore” per i palestinesi, ma anche la messa in crisi dello stesso diritto internazionale e, in definitiva, dell’eguaglianza dei popoli di fronte alla legge.

Di conseguenza, si determina una sorta di separatismo ideologico, che ammette alcune forzature – del diritto e dei valori – sulla base delle convenienze strategiche; si passa candidamente da un giudizio negativo a uno positivo dello stesso atto, a seconda di chi lo compie.

In sintesi, promuovendo un tipo di giustificazionismo contra legem, tale separatismo istituisce un discorso che tende a porsi come parte di una lotta per l’egemonia che è ben poco attinente all’universalità dei diritti.

Anche in questo caso, la contraddizione tra i valori occidentali e il giustificazionismo è evidente. È questo separatismo particolarmente ideologizzato che risulta totalmente slegato dal pensiero razionale e democratico e dalla parte più avanzata del pensiero occidentale.

Come la storia continua a mostrare, il sostegno a Israele è di gran lunga la cosa peggiore per chiunque abbia a cuore l’universalismo concreto e l’eguaglianza dei popoli.

Lo sterminio dei palestinesi, insieme all’allargamento della sovranità israeliana sui loro territori, è senz’altro un modo per riportare in auge un colonialismo che credevamo definitivamente superato; dunque, per riportare indietro l’orologio occidentale.

La logica giustificazionista del genocidio è una logica fortemente reazionaria.

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2 Commenti


  • ANNA

    Sarebbe ora di finirla con i “valori occidentali” e la “democraticità ” dell’entità sionista. Chi li sostiene, in completa malafede -non faccio nomi- o per innata idiozia è un complice con le mani sporche del sangue di tanti innocenti


  • Pasquale

    Non esistono più valori. Esiste solo la propria umanità. O si decide di conservarla oppure la si svende per un piatto di lenticchie.

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