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Il Pakistan protesta e attende la vendetta

Oltre al mare delle supposizioni e delle dietrologie – del resto lasciate a briglia sciolta dalla gestione Usa delle informazioni e della scomparsa del corpo di Osama Bin Laden – c’è il problema molto concreto di come evolverà il rapporto mai troppo fiducioso tra Stati Uniti e Pakistan. Il sottosegretario agli Esteri (facente funzione di ministro), Salman Bashir, ha spiegato in una conferenza stampa stamattina che sarebbe «catastrofico» se qualche altro paese dovesse seguire l’esempio degli Stati Uniti violando la sovranità del Pakistan con un blitz militare. Vista la storia, tutti hanno pensato che il riferimento fosse rivolto all’India. Del resto l’affermazione è arrivata in risposta al ministro dell’Interno indiano, che ieri aveva sostenuto che anche New Delhi ha la capacità tecnica di realizzare una simile operazione se fosse necessario catturare terroristi. «Non si devono avere dubbi – ha concluso Bashir – che il Pakistan ha le adeguate capacità per assicurare la propria difesa». Tutt’altro discorso per il blitz Usa del 2 maggio. Forse per allontanare dal governo in carica il pesante sospetto di aver “scaricato” Osama dopo una vita di complicità (la villa dove è stato ucciso era di fatto all’interno di una città militare di Islamabad), Bashir ha spiegato che «i nostri radar sono stati bloccati durante quella operazione. Si è trattato di una operazione segreta e i militari non erano stati informati». Il responsabile governativo ha anche respinto le accuse provenienti dagli Stati Uniti su coperture fornite dai servizi di intelligence militari (Isi) ad Osama bin Laden. «I servizi segreti sono fedeli al governo e non hanno protetto il capo di Al Qaeda». L’esecutivo in carica si sta muovendo su un terreno molto minato. Non può contrapporsi troppo agli Stati Uniti, non può confessarsi impotente a difendere i propri confini, ma non può neppure confermare che la propria “fedeltà” agli Usa è arrivata stavolta a consegna un’icona dell’islamismo combattente ai “crociati” americani. Altre fonti governative e di ambasciate occidentali nel paese, in effetti, sostengo che l’attesa vendetta di Al Qaeda vedrà probabilmente proprio il Pakistan come primo obiettivo. Solo in seconda battuta verrebbero colpiti obiettivi americani.

Una preoccupazione che sembra trasparire anche dall’atteggiamento della stampa saudita. Secondo il quotidiano al-Watan, che cita una «fonte regionale vicina al dossier terrorismo», sarebbe stato un «corriere pachistano e non kuwaitiano a portare gli americani nel compound di Abbottabad». «Il corriere che gli americani seguivano – scrive il giornale – era pachistano e lavorava in realtà per Zawahiri. Gli egiziani di al Qaeda, che guidano di fatto la rete terroristica, stanno tentando dall’inizio della malattia di bin Laden, nel 2004, di prendere il controllo dell’organizzazione». Secondo la fonte citata dal giornale, sarebbero stati proprio «gli egiziani di al Qaida» a convincere Osama bin Laden a spostarsi dalle zone tribali del Pakistan ad Abbottabad, città dove è stato scovato e ucciso dalle forze statunitensi. Sempre secondo la fonte, dopo il ritorno dall’Iran di uno dei responsabili del network, l’egiziano Saif al-Adl, lo scorso autunno, la fazione di al Qaida «ha messo in piedi un progetto per liquidare bin Laden». Una “pista interna”, dunque, per cercare di allontanare le rese dei conti con ciò che resta della Rete osamiana.

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