Mentre il genocidio a Gaza prosegue senza sosta, con giornalisti assassinati, profughi bombardati nelle tende, e gli ultimi ospedali rasi al suolo, il “futuro” della striscia secondo i piani criminali del governo sionista è in gioco, in questa fase delicata. In questi mesi, Israele ha moltiplicato i fronti dentro e fuori la Palestina, dal Libano alla Siria, generando un’escalation nell’intero medioriente su cui si sono avventate potenze esterne e regionali per riorientare gli assetti della regione.
Come dimostra anche la vicenda siriana, al momento la vita di milioni di persone e dei popoli della regione è appesa al filo della ridefinizione che USA e potenze regionali della Nato (Israele e Turchia prima di tutti) stanno operando a proprio vantaggio.
In questo quadro, a Jenin, cuore della Resistenza palestinese nei territori occupati della Cisgiordania, da settimane si è innestata una vera e propria rappresaglia condotta dalle forze di polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese. L’ANP ha assediato il campo profughi e la città, con blocchi di acqua ed elettricità, incursioni militari con armi e gas lacrimogeni.
Shathaa Sabbagh era una giornalista palestinese, una donna da sempre schierata in prima linea contro l’occupazione e l’apartheid israeliani, aveva 22 anni. E’ lei l’ultima vittima dei soldati di Abu Mazen, preceduta da alcuni leader della resistenza armata palestinese, o semplici civili, alcuni addirittura bambini. L’operazione “proteggere la patria” ha trovato di fronte a sé, come prevedibile, la rabbia di migliaia di palestinesi, non soltanto militanti dei gruppi della Resistenza.
Si sono susseguiti scioperi, manifestazioni, appelli della società civile palestinese, che da Jenin si sono allargati in altri punti nevralgici di quello che è il cosiddetto triangolo della Resistenza, tra la stessa Jenin, Tulkarem e Nablus. Perchè Jenin e perchè proprio ora? L’offensiva delle forze di Abu Mazen arriva nel momento particolare di escalation e caos dei vari fronti aperti in medioriente.
Alcuni analisti avanzano, in maniera probabilmente corretta, l’ipotesi che la prova di forza dell’Anp in Cisgiordania altro non sia che l’ennesimo tentativo di accreditarsi agli occhi degli USA (soprattutto dopo la vittoria di Trump) per ritagliarsi un pezzettino di potere nella gestione del “post Gaza”.
Per la natura stessa dell’occupazione sionista e per l’attuale assetto che questa ha assunto a trent’anni da Oslo (resi carta straccia nella pratica dalla continua colonizzazione della terra palestinese), per la completa dipendenza economica che essa impone agli attori politici palestinesi, l’ANP non può che limitarsi – se vuole restare dentro un quadro di compatibilità – a tentare di raccogliere le briciole per garantire la sopravvivenza del proprio apparato politico e istituzionale, senza aver alcun margine di autonomia.
In questo quadro si inserisce anche l’ultimo evento di oggi: l’ANP ha ordinato l’assurda sospensione delle trasmissioni di Al Jazeera, i cui giornalisti da mesi portano avanti con coraggio un importante lavoro di racconto e testimonianza di quello che sta avvenendo in Palestina.
La vicenda di Jenin è emblematica della questione palestinese e dell’impossibilità di ingessare la resistenza e la lotta per l’autodeterminazione dei palestinesi in caselle geopolitiche o soluzioni pretederminate. Colpire Jenin è colpire un simbolo, vincere su Jenin significa piegare uno dei maggiori serbatoi della Resistenza. Ecco perchè, a fine agosto l’esercito israeliano ha lanciato, proprio sui campi della cisgiordania, un’enorme operazione militare, nella quale l’ANP si è inserita, nei fatti proseguendola, non appena i soldati israeliani hanno moltiplicato i fronti dallo scorso autunno, prima con Libano e adesso con la Siria.
Quello che i palestinesi subiscono dal 1948 è un processo che si muove a geometrie differenti ma sotto un unico comune denominatore. E’ un genocidio a doppia velocità, dentro il quale lo sterminio di Gaza e l’occupazione, l’espropriazione, le discriminazioni, le umiliazioni che i Palestinesi subiscono nei territori della Cisgiordania e di tutta la Palestina storica da parte degli ormai 700mila coloni presenti, sempre più armati e sempre più coccolati dalle istituzioni israeliane, sono due facce della stessa medaglia.
Dal fiume al mare è diventato lo slogan che risuona in ogni mobilitazione a sostegno del popolo palestinese nel mondo perchè coglie questo punto strategico nella lotta per la liberazione della Palestina dal colonialismo sionista.
Continueremo a supportare il popolo palestinese in tutte le sue mobilitazioni e rivendicazioni di autonomia, giustizia sociale e libertà, a opporci alla collaborazione economica, politica e militare che i nostri governi e la Nato garantiscono a Israele.
PALESTINA LIBERA
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