“Rifondare la dinamica fra impresa e lavoro, superando una volta per tutte questa tossica visione conflittuale che anche nel mondo del sindacato qualcuno si ostina ancora a sostenere”: questa dichiarazione programmatica di Giorgia Meloni, formulata al congresso della Cisl, è stata accolta da un’ovazione di tutti quei delegati che, sotto la guida del loro segretario, sostengono l’attuale governo.
Per ora si attacca il conflitto, ma l’obiettivo finale è chiaramente la proscrizione della lotta di classe e, di conseguenza, di quelle organizzazioni che, come i partiti comunisti, la promuovono.
Sennonché, se è vero che definire “tossico” il conflitto è già praticarlo per conto del potere dominante, è altrettanto vero che la lotta di classe non può essere posta fuori legge “per la contradizion che no’l consente”, in quanto la sua messa fuori legge è esattamente una manifestazione della lotta di classe (nella fattispecie, della borghesia contro la frazione militante del proletariato e contro i sindacati conflittuali e le organizzazioni politiche in cui tale frazione si organizza).
Sono passati quasi vent’anni da quando nel 2007 il poeta Edoardo Sanguineti concluse con queste parole la conferenza stampa di presentazione della sua candidatura a sindaco per la città di Genova: «Che il proletariato esista e continui ad essere sfruttato è un segreto di Pulcinella. Bisogna restaurare l’odio di classe. I padroni ci odiano e noi non odiamo più loro».
Orbene, le considerazioni enunciate da questo intellettuale marxista, che va senz’altro annoverato, per i suoi contributi non solo poetici ma anche politici, fra i maggiori esponenti della cultura italiana, appaiono oggi, oltre che del tutto giuste in linea di fatto (il proletariato esiste, è in continuo aumento numerico ed ha ormai un’estensione mondiale), ancor più valide in linea di principio, se commisurate al vasto settore di strati passivi o acquiescenti che è ancora presente nel mondo del lavoro.
L’odio di classe per gli sfruttatori e gli oppressori costituisce allora, inevitabilmente, lo spartiacque morale, politico e umano che separa i comunisti dagli opportunisti di tutte le risme.
“È evidente che dobbiamo rendere spiacevole l’assistenza, dobbiamo separare le famiglie, fare della case di lavoro una prigione e rendere la nostra carità ripugnante”. Basta citare questo passo di uno scritto di Tocqueville, uno dei maggiori esponenti storici del pensiero liberale, per cogliere non solo l’odio di classe verso i poveri, ma anche la prospettiva del ‘welfare dei miserabili’, verso cui tendono le misure adottate dal governo Meloni e l’idea di ‘capitalismo compassionevole’ che ispira gli esponenti della destra e le loro campagne contro la spesa sociale.
La verità è che ci troviamo di fronte ad una classe dominante animata da un feroce spirito vendicativo e incline ad adottare, contro chi protesta e manifesta, strumenti repressivi come il disegno di legge 1660, prodromico a soluzioni di tipo ‘genovese’ come quella attuata nel luglio del 2001.
Seneca, quasi duemila anni fa, ha perfettamente definito il comportamento della Meloni e di altri ministri dell’attuale governo, in preda a reazioni paranoiche per la crescente conflittualità dei lavoratori e degli studenti, con questa concisa massima: “Iniuriam qui facturus est, iam facit”: chi sta per fare il male lo sta già facendo.
In effetti, la classe dominante, rappresentata dalle oligarchie del capitale finanziario, del capitale industriale e della rendita immobiliare, vuole riportare indietro, all’Ottocento, i rapporti sociali di questo paese; percepisce se stessa come superiore rispetto al suo popolo; mira a vendicarsi per i colpi ricevuti negli anni Settanta del secolo scorso, quando la sua arroganza fu duramente contrastata per almeno un quindicennio (da qui l’odio feroce per il ’68); tende a criminalizzare politicamente e giuridicamente ogni presa di posizione antitetica al sistema borghese-capitalistico e stabilisce una connessione organica, in chiave sub-imperialista e semicoloniale, con l’ideologia del primato egemonico che anima la superpotenza americana e con la strategia politico-economica che il trumpismo persegue.
Gente che guadagna come minimo duecentomila euro all’anno dice a chi ne guadagna quindicimila o che vive nella precarietà o con pensioni da fame, che costoro sono il problema (non da risolvere ma) da eliminare.
In questo quinto lustro del ventunesimo secolo i ricchi, i borghesi e il loro ripugnante ‘entourage’ vogliono rendere questo paese ancor più diseguale di quanto dimostrino le abissali differenze di reddito, proprietà e aspettative di vita, che separano sempre di più le classi, gli strati e i ceti. Basti pensare che, sul piano della spartizione della ricchezza prodotta in Italia, il 5% delle famiglie, cioè il padronato, detiene il 46% della ricchezza nazionale.
Di fronte ad una ‘razza padrona’ che ha scatenato da decenni una spietata e vittoriosa lotta di classe, incaricando contemporaneamente i suoi portavoce prezzolati di propagare a livello della pubblica opinione la menzogna ideologica secondo cui le classi e la lotta di classe non esistono più e il marxismo è superato, le classi sfruttate e le forze comuniste che intendono rappresentarne gli interessi immediati e a lungo termine non hanno alternativa: o lo sfruttamento illimitato del capitalismo congiunto alle guerre, alla distruzione dell’ambiente e alle crisi economiche o la lotta rivoluzionaria per una “società di liberi e di eguali” a partire dalla centralità di un sano odio di classe verso il sistema borghese-capitalistico.
Come ha scritto un altro poeta e saggista italiano della seconda metà del Novecento, Franco Fortini, «oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilità e miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarietà e nella paura della morte ora nella insensatezza e non-libertà della produzione e dei consumi. Né gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in oppressori e sfruttatori di altri uomini».
Una cosa è dunque certa: mentre i delegati e i dirigenti della Cisl applaudono dichiarazioni come quelle della Meloni, siamo di fronte al tentativo di mettere fuorilegge i simboli e il pensiero comunista in tutti i paesi dell’Unione Europea. E il fascismo, questa volta dissimulato dietro le fattezze di una Barbie, si configura, nel corso del galoppante processo di fascistizzazione, per quello che è sempre stato: il cerchio di ferro utilizzato dalle classi dominanti per tenere assieme la botte sfasciata del capitalismo.
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