Molte voci si sono levate contro le linee guida per l’insegnamento della storia, e, purtroppo, quell’incipit «Solo l’Occidente conosce la storia» ha finito per diventare celebre. L’autore, Ernesto Galli della Loggia, dopo aver affermato che «in Italia è rarissimo che si possa discutere nel merito: meglio denigrare l’interlocutore», si difende denigrando i suoi critici, accusandoli di non conoscere la lingua italiana. Non voleva dire che gli altri non hanno storia, ma «che solo in quell’area geo-storica che si chiama Occidente la conoscenza dei fatti storici e la riflessione su di essi ha dato vita a una dimensione culturale particolarissima…».
Il primo sistematico testo storico cinese, lo Shiji (Memorie di uno storico), fu scritto da Sima Qian nel II secolo avanti Cristo, e agli inizi del 700 dopo Cristo Liu Zhiji redigeva lo Shitong, in cui descrive lo schema generale delle storie dinastiche ufficiali del periodo degli Stati Combattenti, la loro struttura, i loro metodi, la sequenza, su cui si plasmerà la storiografia cinese a venire.
Il persiano al-Biruni (X secolo) scrive un trattato di cronologia dei popoli antichi (al-Āthār al-bāqiya), ricco di preziose notizie storiche e culturali, e un’opera d’insieme sull’India e la sua civiltà (Kitāb al-Hind), grazie alla sua conoscenza del sanscrito e al suo profondo interesse scientifico per una cultura straniera.
Ibn Khaldun (XIV sec.), peraltro molto apprezzato in Occidente per la modernità delle sue concezioni, introduce nel mondo islamico la nozione di “storia ciclica”, fondata su fattori profani generati dalla naturale tendenza a indebolirsi delle generazioni sedentarizzate, eredi dei conquistatori nomadi, trascinate però in una progressiva e inesorabile decadenza a opera della ricchezza e del modo di vita urbano.
«Benissimo. Ma allora, fuori i nomi (e magari anche le date)! Fuori i nomi di qualcosa di simile al dialogo riportato da Tucidide tra gli ambasciatori ateniesi e i Meli o alle pagine del Principe, che non abbia visto la luce da queste parti! Fuori i nomi di qualcosa che somigli alla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino che non porti il marchio della civiltà occidentale!», ribatte Galli Della Loggia.
Bene: il sovrano indiano Aśoka (304-232 a. C.) introdusse leggi che rappresentavano una vera rivoluzione culturale: furono proibiti la caccia e anche il ferimento di animali, si ridusse la gravità delle pene, concesse almeno venticinque volte l’amnistia a prigionieri e condannati a morte, fece costruire ospedali per uomini e animali, università, ostelli gratuiti per i pellegrini, sistemi di irrigazione e traffico fluviale, e nuove strade.
Le sue leggi proibivano ogni discriminazione per casta, fede o schieramento politico. In generale, le leggi introducevano nuove restrizioni, ma non rinnegavano alcuno dei princìpi morali preesistenti delle varie religioni che componevano l’impero.
Nel 604 d. C. (seicento anni prima della Magna Charta) il principe del Giappone Shotoku introdusse la Costituzione dei diciassette articoli in cui si legge: «Le decisioni importanti non devono essere prese da una sola persona. Devono, invece, essere discusse da più persone (…) Non dobbiamo provare nessun rancore, quando qualcuno non è d’accordo con noi. Perché tutti gli uomini hanno un cuore, e ogni cuore ha le sue inclinazioni».
Nel XII secolo il filosofo ebreo Maimonide, costretto a fuggire dall’intolleranza dell’Europa, trovò rifugio alla corte di Saladino, gran difensore dell’Islam, che gli conferì anche cariche importanti. Mentre Giordano Bruno ardeva sul rogo a Campo dei Fiori, l’imperatore moghul Akbar affermava la necessità di un dialogo tra le diverse religioni dell’India.
«Fuori i nomi dei luoghi della terra dove prima che in Europa ci sia stato qualcosa di simile alla decapitazione di un re decretata dal Parlamento o di paragonabile al suffragio universale!».
Nelson Mandela, nella sua autobiografia Lungo cammino verso la libertà, ricorda come già da ragazzo fosse rimasto colpito dallo svolgimento democratico delle discussioni nel suo villaggio natale, Mqhekezeweni, in cui tutti avevano diritto di parola.
In African Political Systems (1940) Meyer Fortes ed Edward E. Evans Pritchard sostengono che «la struttura dello Stato africano presuppone che re e capi governino sulla base del consenso». Parlano degli Stati tradizionali, prima che arrivassero le potenze occidentali a portare “la democrazia”. E in molti villaggi africani vige il principio dell’unanimità dell’assemblea e non della maggioranza.
In molti regni africani esistevano forme di controllo sul sovrano, che potevano portare anche all’eliminazione del monarca stesso, se esagerava nei suoi comportamenti. Presso i Bamileke del Camerun, ogni mattina l’equivalente del giullare ricordava al sovrano che poteva finire in polvere in qualunque momento.
Nessuno vuole condannare a priori l’Occidente, ma neppure arrogarsi il primato di tutto ciò che è buono (per noi), condannando gli altri a una sorta di serie B storico-culturale. Soprattutto, questa separazione nega i molti e fruttuosi scambi che il mondo occidentale ha avuto con altre regioni del mondo. Chiude una presunta cultura in un recinto, che in realtà è sempre stato aperto, per fortuna.
Davvero dovremmo fare tesoro delle parole del premio Nobel Amartya Sen, quando scrive: «Ci sono stati grandi esempi di tolleranza e intolleranza da entrambi i lati di questa presunta radicalizzazione del mondo. Quella che va corretta è la tesi, frutto solo d’ignoranza, dell’eccezionalismo occidentale in materia di intolleranza. Ma non c’è alcuna necessità di sostituirla con una altrettanto arbitraria generalizzazione di segno opposto».
* dal quotidiano Domani
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Marco badioli
molto interessante ed istruttivo
Pietro Roselli
Mi sembra una questione molto complessa:
che un occidentale sia obiettivo (?) nel valutare l’altro da sé è già il primo problema.
Ci sarebbe da valutare la “fruttuosita’ nel tempo e è nello spazio di ciascuna cultura e, forse, di riflesso in ciascuna storia o, meglio, storiografia; siamo sicuri che i frutti della storia dell’occidente siano tutti meravigliosi?
Infine, si tratta di nuove linee guida per l’insegnamento: e se fossimo un po’ provinciali: moglie e buoi dei paesi tuoi?
E se le interconnessioni globali fossero il futuro ( olocausto nucleare permettendo )? Sarebbe questo l’approccio migliore? Potrei forse condividere la posizione di Ernesto Galli della Loggia se fossimo in una Italia conculcata dallo straniero o dal papa re, ma qui si canta l’inno del partito al governo che è poi quello nazionale ogni quando e dove e non si parla di stato, ma di nazione.
O forse il nazionalismo si ergera’ trionfante sull’universalismo tecnologico e capitalistico?
Salvatore Garziano
Sicuramente il Prof.Ernesto Galli della Loggia, di cui ho grande stima, si è molto documentato. Infatti cita Tucidide ecc.ecc.
Solo una domanda: è difficile pensare che solo la cultura occidentale abbia il senso della storia, come la intende lui.
Ho finito.
Silvio
ciò che è assoluto è sempre accettabile nel limite del consentito. assicurato al relativo. certo se viene costantemente monitorato ha maggiori possibilità di incontro. Fidiamoci anche del Caso oltre che della Causa.
Nuccio Viglietti
Galli della Loggia… un nome un programma… quello favorevole a sterminio palestinesi su lo stessa terra… orgoglio tutto occidentale!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Hermoso
A quanto scritto da Galli della Loggia, si contrappongono risalenti paradigmi vagamente buonisti, non a caso dimenticati. Invidiosetto il critico
Nunzio
Quell’ Occidente che, sistematicamente, ha sottomesso con la croce le altrui culture sterminando popoli solo per rubare ed arricchirsi… “civilmente” ??
Giovanna Gubitosi
il professore Galli della Loggia e’ un uomo istruito, non colto. La cultura è universale e non può prescindere dalla conoscenza di sé e dell’ altro, non può essere compresa in categorie ormai desuete ( occidentale e orientale)., se lette come discrimine l’ una dall’ altra. La globalizzazione avrebbe dovuto insegnare una lettura diversa e profonda della Storia,, ci ha reso solo più individualisti e ignoranti..
Andrea
gli esempi portati nell’articolo sono riferiti a singoli casi che rimangono in vita per un tempo limitato,legato all’autore(re ,filosofo…..)Il caso dell’Occidente,che lo rende particolare, è che si tratta di un processo plurinazionale continuo in un tempo durato secoli,fono ad oggi.
Tutto vero quanto opposto al concetto esposto dal prof G.d.L. ma non è la stessa cosa
Redazione Contropiano
Solo l’ignoranza della storia e della cultura delle altre civiltà può portare a dire che quelli citati sono “casi singoli”… come se il pensiero apparisse all’improvviso nella testa di qualcuno, senza essere stato cresciuto e allevato dentro una processo sociale durato secoli…
Fabio
ad alcuni commentatori, in questa sede, indignati per le parole del professor G. Della Loggia e ai detrattori dell’ Occidente, con argomenti inconsistenti, vorrei rappresentare il fatto che proprio in Occidente è nato il metodo critico comparato applicato allo studio della storia. tale metodologia è attualmente la più raffinata e attendibile per lo studio di questa materia.
Redazione Contropiano
Proprio Galli Della Loggia sembra a digiuno del metodo indicato. E comunque, non era questa l'”eccezionalità” occidentale che rivendicava…
Gert
Ci sarebbe anche Cāṇakya Paṇḍit, noto anche come Kauṭilya (350-275 A.C.), autore dell’Arthaśāstra, un trattato che lo stesso Weber (Il lavoro intellettuale come professione) commentò affermando che “al confronto, il Principe di Machiavelli è un testo del tutto innocente.”