I media e i politici occidentali hanno da tempo rinunciato alla dignità. Non è affatto, o non solo, una questione di onestà intellettuale, quanto piuttosto l’accomodarsi su una sorta di “teologia” che pone come assioma che non tutti gli esseri umani sono uguali. È per questo che, per esempio, fanno tanta fatica a porre sullo stesso piano chi subisce un bombardamento a Sumy o Karkiv e chi lo subisce a Gaza: perché rendono plausibile utilizzare misure diverse per valutare la vita dei civili, producendo un senso dove non trova posto l’uguaglianza.
Questa distinzione del valore dei civili non è altro che la creazione di un discorso in fondo totalitario, giacché si pone al di fuori della principale virtù della democrazia. Si tratta di aprire lo spazio per identità civili diseguali e per la loro monetizzazione nel mercato delle ideologie e delle scelte strategiche. L’idea stessa di giustizia internazionale diviene un mezzo necessario per tutti i fini considerati prioritari. Questo è quanto la cronaca, oggi, ci restituisce.
Prendiamo un esempio di queste ore: i civili palestinesi valgono meno di quelli ucraini. Ogni discorso di media e politici occidentali non fa che attestare questa differenza di valore, che talvolta è persino rivendicata. Ma qual è l’equivalenza generale che assegna il valore alla vita dei diversi civili? Qual è l’unità di misura che distingue e separa?
Ciò che si determina è una sorta di ethos che orienta il valore, un concetto che funziona da riferimento; un pensiero che configura un destino o una direzione, una particolare verità verso cui tendere; che impone, insomma, la configurazione di uno spazio separato da – e in opposizione a – altri spazi, dove la cittadinanza dipende dall’adesione a quello stesso ethos o concetto. Ma quanto più l’Occidente rinuncia all’equità, tanto più abbandona la sua parte migliore; così, il diverso valore assegnato ai civili di diversa provenienza diviene il sintomo di una abiezione irrimediabile.
Quel concetto designa chiaramente – e senza fraintendimenti possibili – il nucleo dell’ideologia attuale: il valore dipende dal posizionamento nello scacchiere internazionale, perché passa attraverso tutte le esigenze e gli interessi possibili della parte occidentale.
La vita del civile di un paese alleato dell’Occidente vale molto di più di quella di qualsiasi altro civile. Così, il bombardamento di un ospedale a Kiev è, innanzitutto, un attacco alla democrazia, mentre quello di un ospedale a Gaza è, in fondo, il giusto e meritato castigo.
D’altra parte, il primo è davvero un ospedale, mentre il secondo un covo di terroristi (a ben vedere, i palestinesi non meritano neppure di essere categorizzati come civili). Ecco dunque il concetto: il valore della vita dei civili si misura sulla base di una convenienza strategica, geografica, ideologica e storica; «Economia, Orazio, economia», direbbe un cinico Amleto.
Tutto il contrario della democrazia, insomma. Ma media e politici occidentali diranno il contrario, ossia che determinando quella diseguaglianza tra civili difendono apertamente la democrazia; e che è proprio così che bisogna agire, ribadendo che ci sono popoli amici e popoli che meritano il castigo (magari non lo diranno proprio così, ma questa è l’essenza).
È in questo senso che si può parlare di “spirito occidentale”; un modo di distinguersi e di distinguere, una mentalità che postula l’iniquità, e che presuppone una certa “supremazia”. E non c’è proprio altro da aggiungere, giacché è evidente che il valore della vita dei civili continuerà ad essere subordinato all’idea di un Occidente dotato di valori – spirituali e materiali – superiori.
Ed è proprio all’interno e per effetto di questo quadro ideologico che si è sviluppata l’unità di misura che distingue tra civili ucraini e palestinesi; il valore è infatti dipendente non dal diritto o dalla giustizia, o dalla comune appartenenza alla specie umana, bensì dall’appartenenza liberal-atlantista.
Oggi è il ritmo di questa appartenenza – che è appartenenza a una forma di egemonia – a stabilire il valore della vita umana. Sì, questo è il tempo dell’abiezione rivendicata.
Dunque, il senso di una morte è monetizzabile, giacché ricondotta a qualcosa che distingue il cadavere; nella spartizione del senso, ciò che ha importanza è un doppio valore: il valore di scambio – i morti civili trasformati in nuove e più potenti armi – e il valore d’uso – i morti civili usati nel meccanismo della propaganda anti-russa.
I civili palestinesi non sono monetizzabili, il loro impatto è anzi deleterio per la narrazione occidentale; per certi versi, essi hanno un valore negativo: obbligano alla compensazione. Ciò che si perde, per esempio in coerenza a “valori” o “principi”, si guadagna in equilibrio geopolitico. E così continuerà a prodursi quella feroce e abietta diseguaglianza tra civili di diversa provenienza.
Democrazia vuol dire che il valore di una vita non si misura sulla convenienza, ma sulla condivisione; il suo senso è nel farsi carico di tutti, non nell’applicazione cinica di quella “equivalenza generale” che stabilisce il diverso valore della vita dei civili. Questa diseguaglianza non ha nulla di democratico. È – e lo è davvero – una forma dell’abiezione totalitaria.
* da Facebook
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