Il debole e corrotto regime inaugurato poco più di un anno fa grazie al colpo di stato maidanista potrebbe avere vita breve e fare la stessa fine della ‘rivoluzione arancione’ – anch’essa filoccidentale – che poco più di un decennio fa naufragò sull’onda degli scontri interni alle forze liberiste e nazionaliste che si erano impossessate del potere.
Scandali, faide interne, dimissioni, accuse di sabotaggio, scontri in parlamento: a Kiev il caos politico rischia di travolgere il governo di Arseni Yatseniuk e di mettere fine ad un precario equilibrio finora mantenuto grazie al sostegno della Nato e di alcune potenze straniere – l’Ue, gli Stati Uniti, la Polonia, le Repubbliche Baltiche – interessate a utilizzare l’Ucraina come una testa d’ariete nei confronti della Russia e dei suoi interessi. Nelle ultime settimane sia il premier sia il presidente – fratelli coltelli, potremmo dire utilizzando un efficace detto popolare – hanno dovuto affrontare ostacoli crescenti e un clima sempre più tempestoso a partire dalla gestione delle trattative con il Fondo monetario internazionale per la concessione della seconda tranche del prestito nell’ambito del programma di “aiuti” per oltre 40 miliardi di dollari. Questo mentre la maggioranza di forze ultranazionaliste e di estrema destra che sostiene il regime sta letteralmente andando in pezzi sull’onda di una lotta per il potere e di uno scontro tra gli interessi dei diversi oligarchi che rischia di far saltare il banco.
Ieri la Rada, il parlamento ucraino in cui pure le forze golpiste possono contare sul 90% dei deputati, ha ufficializzato il siluramento del ministro dell’Ecologia Igor Savchenko, che aveva accusato il premier di non fare l’interesse del Paese, ma di seguire gli ordini degli oligarchi di turno (beata ingenuità!). Subito dopo è caduta anche la testa del responsabile della Sanità, Alexandr Kvitashvili, entrato in conflitto con il partito del presidente Petro Poroshenko – il Blocco presidenziale forte di una risicatissima maggioranza relativa – che gli è costato il siluramento dopo che aveva accusato il ‘re del cioccolato’ di bloccare le riforme del settore di sua competenza.
Il capo dello Stato, che cerca di mediare e di barcamenarsi tra i cinque diversi partiti al governo, aveva già annunciato a maggio un rimpasto senza però fissare la tempistica, imposta così dai turbolenti ultimi giorni. Al centro della contesa c’è soprattutto Arsenji Yatseniuk, attaccato da più fronti, compresi alcuni settori dell’opinione pubblica sostenitori del golpe antirusso ma delusi dalla situazione catastrofica in cui è stato ridotto il paese in pochi mesi.
Secondo gli ultimi dati resi noti a giugno dall’Istituto di sociologia di Kiev il Fronte Popolare, il partito di destra nazionalista del primo ministro, sarebbe letteralmente crollato all’1,6% dei consensi, collassando dall’oltre 22% conquistato alle elezioni dell’ottobre del 2014. Per il Razumkov Center solo il 4,5% degli ucraini sosteneva già a marzo il governo, valori disastrosi che nemmeno Mykola Azarov, premier sotto Viktor Yanukovich, era riuscito a collezionare prima di essere spazzato dal servizio d’ordine di Euromaidan affidato ai gruppi più trinariciuti – Pravyi Sektor e Svoboda – dell’estrema destra.
Yatseniuk, arrivato al governo dopo la deposizione di Yanukovich, dimessosi la scorsa estate per poi essere riconfermato a dicembre del 2014 alla guida del governo, sembra insomma seguire il destino del suo mentore Viktor Yuschenko, trionfatore della rivoluzione arancione e poi travolto dalle faide interne alla sua maggioranza. E’ difficile però allo stato prevedere se la testa di Yatseniuk salterà o meno, e chi ne prenderà il posto. Secondo alcuni analisti citati dalla stampa almeno fino alle elezioni amministrative programmate per il prossimo autunno non dovrebbero esserci particolari scossoni, ma se i risultati del Fronte popolare saranno quelli previsti dagli attuali sondaggi è facile prevedere una rapida defenestrazione dell’attuale premier. Difficile anche dire quale forza politica del campo sciovinista si avvantaggerà della rapida crisi dei partiti installatisi al potere dopo il golpe del febbraio 2014. Infatti anche il Blocco Poroshenko è dato in forte discesa (avrebbe l’8,3% contro il 21% preso alle elezioni) e Samopomich (Autoaiuto, partito dell’ex sindaco di Leopoli Andrei Sadovy molto forte all’Ovest) non sfonderebbe fermandosi al 6,2%. I sondaggisti danno come favorita Yulia Tymoshenko che in un’eventuale elezione presidenziale potrebbe essere la rivale più accreditata contro Poroshenko. Ma lo scontento popolare per le promesse tradite, l’economia allo sfascio e una guerra che va male potrebbe essere intercettato da formazioni ancora più estremiste e apertamente neonaziste, che già nel parlamento attuale possono contare su qualche decina di parlamentari eletti per lo più nelle liste dei partiti ‘rispettabili’ e rappresentanti degli interessi dei vari battaglioni punitivi e delle vere e proprie gang criminali che spesso si sovrappongono ai movimenti neofascisti e neonazisti impegnati nella guerra contro le popolazioni del Donbass. Qualche vantaggio potrebbe coglierlo anche, in particolare nei principali oblast del Sud-Est, da Kharkov a Dnepropetrovsk e Zhaporiza, quelli del Blocco d’opposizione, formazione nata dalle ceneri del Partito delle regioni di Yanukovich.
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