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Israele è “potenza occupante”

Di fronte ai recenti ripensamenti, forse è opportuno ribadire ciò che dovrebbe essere ovvio: «Il punto fondamentale della questione è che Israele conduce un’occupazione militare illegale sin dal 1967: è la più lunga della storia […] ed è la violenza originaria» (Edward Said).

Nessuna soluzione di pace può prescindere dall’affrontare questa “violenza originaria”: la realtà dell’occupazione. Ben prima del 7 ottobre, essa già imponeva un controllo militare pervasivo su ogni aspetto della vita quotidiana dei palestinesi. La natura coloniale di questa occupazione è evidente, sebbene venga costantemente distorta dalla narrazione dominante dei media e della politica, fino a capovolgere la realtà, presentando Israele come parte lesa.

Ribadiamo, dunque, l’ovvio.

Il 19 luglio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia – il tribunale più autorevole al mondo – ha emesso un importante parere consultivo, richiesto dall’Assemblea Generale dell’ONU, sulle politiche e le pratiche di Israele nei territori palestinesi occupati. Come spesso accade quando un pronunciamento contrasta con le narrazioni dominanti, media e politici occidentali hanno preferito ignorarne il contenuto. Eppure si tratta di un verdetto che mette seriamente in discussione il sostegno incondizionato a Israele.

È un parere storico, di grande rilievo, che conferma quanto sostenuto da anni da esperti di diritto internazionale e difensori dei diritti umani: il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi configura un regime coloniale incline alla pulizia etnica. Una sentenza inequivocabile, che solo chi compie un quotidiano esercizio di abiezione – tanto intellettuale quanto umana – può scegliere di ignorare.

Basta leggere le prime righe del parere per comprendere che siamo di fronte a una totalità: quella dell’occupazione illegale, base imprescindibile per ogni discorso sui diritti, compreso il tanto invocato “diritto alla difesa” di Israele. È evidente: qualsiasi narrazione o giudizio, anche il più indulgente verso Israele, non può prescindere dallo status che la Corte gli attribuisce – quello di POTENZA OCCUPANTE. E in tale contesto, chi non è accecato dall’ideologia sa bene che i diritti di chi resiste all’occupazione assumono un valore prioritario.

La Corte lo afferma senza ambiguità: Israele ha edificato un sistema di terrore – militare e amministrativo – in cui il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione è costantemente violato. Da oltre 57 anni, a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, l’occupazione si manifesta attraverso colonizzazione, annessione e segregazione razziale. Ben prima del 7 Ottobre, davvero.

Solo quest’ultima dimensione – quella della segregazione razziale – dovrebbe bastare per aprire un ampio dibattito pubblico, proprio perché evoca un passato che nessuna società democratica dovrebbe tollerare. E infatti, la Corte è esplicita: «LE POLITICHE E LE PRATICHE DI ISRAELE NEI TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI EQUIVALGONO A SEGREGAZIONE O APARTHEID». Di fronte a una simile dichiarazione, come può non rabbrividire un sincero democratico?

Il risultato, tuttavia, è stato il silenzio. Un silenzio politico, che avvolge tutte le istituzioni occidentali, e una colpevole omissione mediatica, capace di seppellire nell’oblio una sentenza di straordinaria importanza. Si tratta di un cedimento agli equilibri geopolitici che impedisce ogni discussione di merito; un silenzio “diplomatico” che mina la democrazia stessa, perché ostacola la comprensione dello stato reale dei diritti civili, politici e umani del popolo palestinese.

Identificarsi con Israele, in questo contesto, significa sostenere – direttamente o indirettamente – l’oppressione dei palestinesi. Media e politici occidentali si schierano con la potenza occupante, legittimando così anche gli atti più criminali. Questa identificazione esclude, per sua natura, ogni forma di solidarietà verso il popolo soggetto all’occupazione.

Il parere della Corte costringe a guardare dentro l’essenza delle cose. Uno sguardo lucido, libero da ideologie, non può che riconoscere la verità scomoda che si cela dietro il giustificazionismo a favore di Israele: esso riproduce e rafforza una logica coloniale, profondamente antitetica alla democrazia. I sinceri democratici sanno bene che il colonialismo d’insediamento è incompatibile con la democrazia: produce un’oppressione disumana, priva di misura, e dovrebbe essere riconosciuto per ciò che è – uno scandalo.

Anche su questo punto, la Corte è chiara. La sostanza coloniale delle politiche israeliane si manifesta nel trasferimento forzato di popolazione civile (vere e proprie deportazioni), nella confisca delle terre, nello sfruttamento delle risorse naturali, nell’estensione della legislazione israeliana ai territori occupati, nella violenza continua perpetrata da coloni e forze di sicurezza contro i palestinesi. I rapporti sociali imposti dall’occupazione sono l’antitesi della democrazia.

Il sostegno di media e politica occidentali a questo sistema apre scenari pericolosi: normalizza comportamenti che negano i principi democratici. Le politiche e le pratiche del colonialismo israeliano sono radicalmente estranee alla democrazia. Per questo vanno contrastate:

innanzitutto, per fermare lo sterminio del popolo palestinese;

in secondo luogo, per restituire dignità a un’idea di società fondata sull’eguaglianza e non sul suprematismo razzista o lo sfruttamento dell’altro.

In entrambi i casi, lo spazio dell’azione politica e della narrazione pubblica coerente con la democrazia dovrebbe accogliere quanto richiesto dalla Corte: la cessazione immediata della situazione di illegalità, lo smantellamento degli insediamenti, la restituzione delle terre e un risarcimento per oltre mezzo secolo di occupazione. Qualsiasi posizione che non contempli queste misure, e ne neghi la legittimità, non fa che perpetuare colonialismo e apartheid.

Per questo, bisogna sfidare – sul piano della democrazia – chi, in nome della democrazia stessa, continua a sostenere politiche illegali, violente e discriminatorie. Negare il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi e il valore del diritto internazionale è un atto grave, con ricadute pesanti sullo stato di salute delle democrazie occidentali. Non può essere ignorato, né tollerato. E occorre incalzare, proprio sul nodo dell’occupazione, anche chi oggi rivede le proprie posizioni, costretto da un orrore che non può più essere nascosto.

Se le sanzioni, la rottura delle relazioni diplomatiche e l’invio di una forza internazionale a protezione della popolazione palestinese sono le scelte da fare immediatamente per fermare il genocidio, il passo ulteriore non potrà che essere la fine del regime di occupazione.

* da Facebook

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