Gli israeliani amano le guerre, soprattutto quando iniziano. Non c’è ancora stata una guerra per cui Israele, l’intero Paese, non abbia tifato fin dal suo inizio; Non c’è ancora stata una guerra, a parte la Guerra dello Yom Kippur del 1973, che non abbia portato l’intero Paese a esprimere meraviglia per le straordinarie capacità militari e strategiche di Israele, al suo inizio. E non c’è ancora stata una guerra che non sia finita in lacrime.
Menachem Begin intraprese la prima guerra in Libano in uno stato di euforia. La lasciò in uno stato di depressione clinica. Inizia come una parabola. Ci sono buone probabilità che questo accada anche alla fine della guerra contro l’Iran. Abbiamo già un inizio euforico, gli album di foto di guerra stanno già andando in stampa, ma questo potrebbe benissimo finire con la depressione.
Le ali sulle uniformi dei nostri piloti dell’aviazione, ricoperte del sangue di migliaia di bambini e decine di migliaia di innocenti, furono purificate in un istante dopo diverse sortite in Iran. Che eroi! Un tale sfogo nazionale di adulazione per la nostra aviazione non si sentiva dai tempi della “miracolosa” Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Guardate come hanno lanciato il missile attraverso il balcone e la finestra. Persino Benjamin Netanyahu è stato purificato da un giorno all’altro, e ancora una volta, è Winston Churchill, almeno per alcuni di noi. Le emittenti televisive e i social media si sono scatenati in autocelebrazioni.
“Quando vogliamo, sappiamo come infilare il coltello nella piaga e girarlo“, si vantava Liat Ron sul sito Web di notizie Walla. “Il 13 giugno, con la sua portata storica, è un’altra opportunità che non possiamo perdere. Tanto di cappello alle IDF e lunga vita allo Stato di Israele!” ha scritto il giornalista considerato il più influente in Israele.
I primi giorni di guerra sono sempre i più belli, i più inebrianti e appaganti. Guardate come abbiamo distrutto tre forze aeree nel 1967, o come abbiamo ucciso 270 vigili urbani il primo giorno dell’operazione Piombo Fuso del 2009 a Gaza. È sempre la stessa arroganza, che esalta i successi dell’esercito e del Mossad.
Venerdì, c’erano già persone che, dopo sole 100 missioni, immaginavano di sostituire il Regime iraniano. Questo orgoglio gonfio è sempre accompagnato da un senso di rettitudine. Non c’era scelta nel 1967 o nel 1982: nessuna guerra fu più giusta di quelle due. Venerdì, di nuovo, non c’era altra scelta. L’inizio è come quello di un film; la fine potrebbe essere quella di una tragedia greca.
Venerdì sera, la piacevole sensazione aveva già lasciato il posto a qualcos’altro, le sirene hanno suonato per tre volte costringendo milioni di persone a rifugiarsi, con la conseguente distruzione e le vittime. I nove scienziati nucleari iraniani morti non sono riusciti a compensare questo; nemmeno la morte del comandante delle Guardie Rivoluzionarie (che è già stato sostituito) è stata di consolazione.
Israele si è lanciato in una guerra di sua scelta che avrebbe potuto essere evitata se non avesse convinto gli Stati Uniti a interrompere i negoziati su un accordo nucleare, che Donald Trump sarebbe stato felice di firmare. Israele ha fatto questo credendo di non avere scelta, un’affermazione banale e familiare.
Israele guarda ai successi del primo giorno con gli occhi socchiusi, senza pensare a quelli che seguiranno. Dopo diversi mesi con corse a un rifugio antiaereo tre volte a notte, con un’economia in rovina e il morale a terra, inizieremo a chiederci se ne sia valsa davvero la pena e se non ci fosse davvero altra scelta. Domande del genere non sono nemmeno legittime, ora.
Quanta pazienza ha l’Iran rispetto a Israele? Quanto è capace Tel Aviv di affrontare la minaccia di attacchi missilistici senza trasformarsi in Kiev, e quanto è capace Teheran?
Questa domanda va posta prima di decollare per bombardare Natanz, non dopo il ritorno glorioso dei piloti.
Questo non è un tentativo di rovinare la festa della gente, ma piuttosto uno sguardo sobrio alla realtà, e soprattutto un insegnamento del passato, cosa che Israele si rifiuta di fare.
C’è stata una guerra da cui Israele è uscito più forte nel lungo periodo? C’è stata anche solo una guerra in cui Israele non ha avuto scelta? La guerra contro l’Iran potrebbe trasformarsi in una guerra come non ne abbiamo ancora viste.
L’unica remota possibilità di porvi fine presto dipende in larga misura dall’eccentrico Presidente di Washington. È sicuramente la guerra più pericolosa che Israele abbia mai affrontato. È una guerra di cui potremmo ancora pentirci più di qualsiasi altra precedente.
* Haaretz – 15 giugno 2025. Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato a Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei Giornalisti Israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo ultimo libro, La Punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Traduzione: La Zona Grigia
Fonte: https://archive.md/jrPfX
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almar
Leggere gli articoli di Gideon Levy è un sollievo ed una consolazione, in quanto mi fa pensare e sperare che non tutti siano allineati in Israele alla condotta del loro governo (anche se sono tanti!). Gideon Levy è un giornalista ebreo coraggioso che si oppone fieramente alle politiche di Netanyahu e dei suoi ministri. Ammiro questo giornalista, di cui ho letto, più di un articolo, critico severo nei confronti dell’azione di Israele, un paese che non so come si possa definire democratico.