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Genova è nel mirino?

Quanto uscito sui media in queste settimane potrebbe sembrare il prologo di una pellicola di Fernando Di Leo degli anni ’70. Invece, è cronaca.

Carlo De Simone, sub-commissario alla realizzazione della nuova diga foranea di Genova, ai microfoni di Primocanale conferma che l’infrastruttura è “dual use“; perché funzionale allo sbarco su larga scala di uomini, mezzi ed equipaggiamento militare in caso di guerra. Pochi giorni dopo, il viceministro del MIT Rixi, dichiara a Repubblica che il Governo Meloni sta valutando di classificare come dual use anche i bacini di carenaggio.

Non è solo una furbata contabile

Le dichiarazioni di De Simone e Rixi potrebbero apparire come l’ennesima furbata del Governo Meloni per allungare la coperta delle spese militari in ossequio al raggiungimento del famigerato 5% di PIL in spese militari diviso in un 3,5% da spendere in armi prettamente dette (carri armati, missili, aerei ecc.), e un 1,5% da spendere in infrastrutture, come la nuova diga di Genova.

La logistica di guerra

Non è un esercizio di stile ricordare che larga parte dei principi e della tecnica che determina la logistica contemporanea – quella che porta nelle nostre case un manufatto prodotto in Cina, acquistato su Amazon e transitato dal Mar cinese al Mediterraneo via canale di Suez – deriva dalle “sfide” poste dai grandi conflitti del ‘900 alla movimentazione di colossali quantità di uomini e materiale bellico.

Il caso emerso con la nuova diga di Genova in questo senso è da manuale. La diga – ammesso e non concesso che sia effettivamente realizzabile e completata nei tempi previsti – consentendo al porto di accogliere le portacontainer di maggior pescaggio, identificherebbe Genova come zona di sbarco ideale per uomini e mezzi pesanti NATO da schierare nell’Europa centro-orientale per fronteggiare una fantomatica invasione russa.

Invasione che le classi dirigenti economiche e politiche europee, più che temere, ormai sembrano auspicare.

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