E’ una domanda molto stimolante, perché tocca il cuore stesso dell’epistemologia medica e della filosofia della scienza. Proverò a rispondere da anziano medico specializzato in epatologia e Gastroenterologia (gli esempi e le società scientifiche citate nella mia risposta sono di epatologia, come potrà verificare) e spero che avrà la pazienza di leggere tutto anche se una piattaforma come FB non si presta molto a questi argomenti.
Iniziamo con il punto limite: criterio di demarcazione
Il confine fra teoria scientifica e teoria antiscientifica non è sempre netto, ma in medicina si può individuare su alcuni assi fondamentali:
1- Falsificabilità (Popper):
Una teoria scientifica deve essere potenzialmente confutabile da dati osservabili. Ad esempio, l’ipotesi che un nuovo antivirale riduca la carica virale dell’HCV può essere verificata con un trial clinico controllato. Una teoria antiscientifica, invece, tende a essere non falsificabile (es. “questa sostanza funziona sempre, ma se non funziona è colpa del paziente o di fattori imponderabili”).
2- Riproducibilità:
Una teoria scientifica deve dare risultati ripetibili in contesti diversi, con metodologie standardizzate. In epatologia, se un biomarcatore predice la progressione della fibrosi, questo deve essere dimostrabile in più coorti, non solo in una casistica isolata.
3- Coerenza con il corpo di conoscenze esistente:
Una nuova teoria non può essere in contraddizione palese con leggi biologiche consolidate, a meno che non offra una spiegazione migliore e più ampia. Per esempio, l’ipotesi del ruolo dei virus nell’epatocarcinoma si è integrata con la biologia molecolare dei processi oncogenici, mentre molte teorie “alternative” restano incompatibili con la fisiopatologia nota.
4- Metodo scientifico:
L’uso di protocolli sperimentali, controlli, analisi statistica e peer review costituisce la “dogana” che separa scienza da pseudoscienza.
5- Capacità predittiva e utilità clinica:
Una teoria scientifica deve permettere di formulare previsioni utili. Per esempio, il modello MELD predice l’outcome del paziente con cirrosi, mentre teorie prive di base scientifica non producono predizioni affidabili.
Chi decide dove passa il confine?
Non c’è un singolo “tribunale della scienza”, ma un insieme di meccanismi di controllo:
– La comunità scientifica internazionale: attraverso peer review, linee guida (EASL, AASLD, ecc.), consensus conference, e metanalisi.
– Le istituzioni regolatorie: FDA, EMA, AIFA in Italia, che approvano farmaci e metodologie dopo evidenza clinica robusta.
– Il metodo di revisione critica: il processo di replication crisis ha mostrato che anche la scienza può sbagliare; ma ciò che distingue la scienza è la correzione nel tempo.
– Il clinico esperto: in ambito pratico, il medico con formazione critica e conoscenza aggiornata deve distinguere le evidenze consolidate da ipotesi ancora speculative.
Un punto delicato, il limite non è fisso:
– Idee oggi considerate pseudoscientifiche possono, con nuove evidenze, diventare scienza (pensa all’Helicobacter pylori e all’ulcera).
– Al contrario, teorie un tempo accettate (es. certi approcci terapeutici in epatite cronica prima dell’avvento dei DAA) vengono abbandonate perché superate.
La mia opinione personale raggiunta dopo tanti anni di lavori e pubblicazioni è che il vero discrimine non sta tanto nella “verità” immediata della teoria, ma nella sua attitudine a essere sottoposta a verifica, critica e revisione. La scienza non pretende di essere definitiva, ma di avanzare correggendosi. L’anti-scienza, invece, si blinda: non ammette la possibilità di essere smentita.
Concludendo: il punto limite sta nella falsificabilità, riproducibilità e coerenza metodologica.
A decidere non è un singolo individuo, ma la comunità scientifica e regolatoria attraverso un processo dinamico, autocorrettivo, basato su prove.
* segnalato da Elisabetta Canitano, su Facebook
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