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Purim. Festa di massacri e di biscotti

Un po’ di storia, un po’ di mitologia.

L’amore degli israeliani per il genocidio deriva dalla storia di Purim. In alcune feste si onora il pane. In altre si chiede il perdono. A Purim si celebrano settantacinquemila presunti nemici uccisi. È scritto nel Libro di Ester, e basta leggerlo: uomini, mogli, bambini, sterminati in un giorno solo. La narrazione biblica non parla di armate ostili, né di battaglie campali. I “nemici” degli ebrei vengono uccisi tutti, per decreto regio, in un massacro legittimato come autodifesa.

[Nella foto una colona israeliana festeggia il Purim dileggiando una donna (qualsiasi) palestinese ferita o uccisa]
Ma il testo non presenta prove, né episodi di reale insurrezione. Solo l’anticipazione del pericolo, l’eliminazione di chi potrebbe diventare minaccia. La differenza fra odio e prevenzione, in questo contesto, è più che sottile: è ciò che trasforma una strage in festa. È la crudeltà fredda della precauzione armata. È il principio che permette di uccidere senza vergogna, e poi ballare.

Ester non è una figura santa. È una concubina, una ragazza ebrea che diventa regina sdraiandosi sul letto del re persiano. Usa il suo corpo per ottenere un decreto. L’ebreo Mardocheo suggerisce, il re firma, e la carne degli altri cade. Non è favola, è mitologia d’arma. È la genealogia di un popolo che ha scolpito nella propria festa il massacro come fondamento.

Nei paesi che oggi si fingono civili, questa storia viene raccontata ai bambini con i travestimenti. Si regalano biscotti pieni di marmellata che, per tradizione, sono le orecchie mozzate del nemico. Haman, il consigliere caduto in disgrazia. Impiccato con i suoi dieci figli. La gioia nel sangue. Il dolce nella carne.

Sarebbe solo una leggenda, se non fosse che ogni marzo, mentre i palestinesi seppelliscono bambini senza nome, i coloni ballano vestiti da soldati, e lanciano coriandoli sopra case demolite. Lo chiamano carnevale. È l’ideologia del sacro travestita da scherzo.

Ma la storia non comincia con Israele. Né con la Shoah. Va cercata più indietro, tra gli scaffali impolverati del colonialismo inglese. I cristiano-sionisti britannici dell’Ottocento avevano un sogno: ricollocare gli ebrei in Palestina. Un sogno che era insieme odio e delirio messianico. Cacciarli, ma in nome della Bibbia. Farne uno strumento. Usarli per liberare il Santo Sepolcro e, intanto, per controllare il petrolio.

Lord Palmerston non credeva alla pace. Credeva nelle cannoniere. E quando nel 1840 distrusse Akka, lo fece con le navi a vapore, affamate del carbone libanese. La profezia diventava logistica. Il Regno Unito seminava stazioni di missionari e protettorati, e nel frattempo preparava la spartizione dell’Impero Ottomano.

A quel punto bastava un pretesto, un nome da mettere sul progetto, e Theodor Herzl fu l’uomo giusto nel tempo previsto. Il Congresso Sionista di Basilea del 1897 fu il primo passo: lì si parlò apertamente di Stato ebraico, ma sotto la protezione di una potenza europea. La Gran Bretagna ascoltava.

Quando vent’anni dopo, nel pieno della Grande Guerra, il ministro degli Esteri Arthur Balfour dichiarò ufficialmente il sostegno alla “costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico“, lo fece con una lettera indirizzata a Lord Rothschild, capostipite della più potente famiglia ebraica filo-britannica.

Il Mandato britannico del 1920 trasformò quella promessa in amministrazione coloniale. Gli inglesi governavano, gli ebrei sognavano, gli arabi subivano. Israele nacque così: dentro un patto tra impero e denaro, con le Scritture sullo sfondo e il petrolio sul tavolo.

Era un avamposto militare con funzioni religiose, un inganno strategico travestito da promessa. Non un ritorno alla terra, ma un atto di forza sorvegliato da Londra. Lo chiamarono patria, ma serviva a controllare l’area, arginare i musulmani, sorvegliare il canale. E chi si opponeva, non contava.

La tragedia del Novecento servì solo a mettere il sigillo. L’olocausto diventò patente morale per uno Stato etnico, esclusivo, impunito. Si fondò su un’eccezione elevata a regola: siamo stati perseguitati, quindi possiamo punire. E punire ancora. E ancora.

Intanto, nella Striscia, la fame ha il volto dei neonati. I bulldozer sollevano corpi sminuzzati. Il mondo guarda da lontano. A Gerusalemme, a marzo, si ballava. I coloni durante il Purim, scendevano in strada vestiti da soldati, sventolavano bandiere e lanciavano coriandoli sulle macerie. Alcuni danzavano davanti alle case demolite, come se la distruzione fosse parte del rituale. I bambini portavano costumi militari. I dolcetti venivano distribuiti accanto alle ruspe. Una festa fondata sulla rimozione. Una risata sopra la polvere dei muri caduti.

È cultura del dominio. Insegnata, scritta, tramandata. Come certe nenie che i popoli si ripetono quando hanno bisogno di sentirsi nel giusto. Ma la storia, se davvero la si legge, racconta altro. Può sembrare una storiella per bambini, un hallowen israeliano macabro, ma i coloni la vedono diversamente e anche il governo Netanyahu.

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3 Commenti


  • Vannini Andrea

    il vecchio testamento é il mein kampf degli ebrei.


  • Manlio Padovan

    Per le persone oneste che le hanno lette, le cosiddette sacre scritture sono solo un insieme di Cazzate e Porcherie.
    L’ebraismo cristianesimo, questo è l’ebraismo pe ile masse, fu un crimine contro l’uomo e la società: il loro scopo fu di essere uno strumento politico per assumere su du sé il patrarircato, che viene dopo la schiavitù, che per forma mentale è la causa delle storture sociali.
    Si legga l’avventura di Lot che abbandonò le sue due figlie alla plebaglia sodomitica perché ne abusasse a volontà a difesa di sue suoi amici maschi. Un misfatto per ilm quale non c’è riprovazione nemmeno sul piano morale.
    Un comportamento tanto apprezzato da dio che Lot fu salvato lui solo dalla distruzione di Sodoma e Gomorra e salvato con riguardo se per lii fu salvata anche la moglie.
    La quale moglie divenne però di sale per essersi girato per curiosità. Si intende: era donna poteva essere meno stupida? Tanto stupida da non meritare nemmeno un nome proprio.Ma con la moglie di Lot dio condanna anche la curiosità che per l’umanità è sintomo di intelligenza e anticamera della cultura.
    Allora: chi è lo stupiio: la moglie di Lot o quell’imbecille di dio?


  • flavia

    infatti perdere tutto questo tempo, segnalando le oscenità fantasiose di racconti orali come parte di una cultura (o subcultura?!) da esplorare e analizzare mi sembra assurdo ed inutile: non c’è alcun bisogno di dimostrare quello che sono oggi utilizzando storie truculente del passato, neanche fossero trattati antropologici che narrano reali comportamenti del passato più o meno remoto.

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