La cultura occidentale non è un blocco omogeneo né un sistema coerente e pacificato: è, piuttosto, un campo di tensioni, un terreno di conflitto permanente. In essa convivono principi e valori che, pur proclamandosi universali — come la libertà, la democrazia, i diritti individuali e la ricerca di una convivenza fondata sul rifiuto della guerra e sulla mediazione — si intrecciano e spesso si scontrano con logiche opposte, radicate nelle strutture economiche, politiche e sociali che la sostengono.
All’interno di questo stesso orizzonte culturale trovano infatti spazio anche la competizione economica, gli interessi nazionali e imperiali, le gerarchie di potere, le diseguaglianze sociali e la convinzione che il diritto possa essere piegato alle necessità del momento. È in nome di tali necessità che la guerra o il colonialismo possono essere giustificati come strumenti legittimi di difesa di interessi particolari o di espansione.
La contraddizione che attraversa la cultura occidentale non è soltanto ideologica: è strutturalmente sociale, inscritta nelle relazioni di potere che ne organizzano la vita materiale. È, in senso proprio, una contraddizione di classe. Pur in forme mutate, resta attuale la distinzione fra chi detiene la proprietà — non solo dei mezzi di produzione economica, ma anche dei mezzi di produzione simbolica, come i media, la conoscenza e il linguaggio politico — e chi ne è escluso o ne subisce l’influenza.
Per questi ultimi, i “senza proprietà”, la difesa dell’universalità dei diritti e dei principi democratici rappresenta una necessità vitale, l’unico orizzonte possibile per affermare una maggiore giustizia e uguaglianza. Per i primi, invece, che pur beneficiano di quei medesimi valori, la loro estensione effettiva costituisce una minaccia: essi tendono quindi a limitarne la portata, reinterpretandoli o subordinandoli alla conservazione delle proprie posizioni di privilegio e di dominio.
È su questo terreno che l’Occidente rivela la sua doppiezza costitutiva, oscillando continuamente tra emancipazione e controllo, tra promessa di libertà e volontà di potere. Un esempio emblematico di questo doppio standard lo offre la crisi di Gaza: mentre migliaia di civili palestinesi — donne, bambini, anziani — subiscono bombardamenti, carestie o assedi, spesso le élite politiche e mediatiche occidentali parlano con riluttanza di “diritti umani”, “diritto internazionale” o “protezione dei civili”, oppure condannano in modo tiepido, mentre nei conflitti in Ucraina o altrove esprimono giudizi e richieste di intervento molto più netti e immediati.
Le vite dei palestinesi, in questi casi, sembrano meno assunte come universali, meno meritevoli di tutela piena — perché la loro sofferenza entra in conflitto con interessi geopolitici, alleanze strategiche o calcoli diplomatici che godono di priorità.
In questo senso, l’Occidente vive costantemente in bilico tra emancipazione e dominio, tra apertura e chiusura, tra pace e violenza.
È in questo continuo oscillare fra ideali e interessi che si definisce la sua identità storica e politica: una identità mai risolta, attraversata dal conflitto fra chi tende a ridurre l’universalità dei diritti a un principio puramente ideale, da piegare alle esigenze della propria egemonia economica e geopolitica, e chi, al contrario, mira a rendere concreta quella tensione universalistica, traducendola in pratiche reali di uguaglianza, solidarietà e giustizia.
In questo periodo, le mobilitazioni popolari contro il genocidio del popolo palestinese hanno rappresentato, più di molte istituzioni e leadership occidentali, la difesa autentica dell’universalità dei diritti umani, mostrando come la spinta emancipativa non provenga dai centri del potere, ma dalle sue periferie sociali e morali.
Sono queste mobilitazioni, oggi, la parte più avanzata e progressiva della cultura occidentale.
* da Facebook – Immagine: Leon Golub, “I mercenari”, 1985. I mercenari incarnano il volto violento e coercitivo dell’Occidente coloniale e imperiale, mentre le loro vittime rimandano alla sua parte rimossa: quella oscurità strutturale che convive con i suoi ideali di libertà e civiltà.
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