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No other land

Tutto maledettamente vero.

Sono distrutto. Scorrono i titoli di coda di No Other Land. Devo riprendermi. Ma perché dovrei? Quella coltellata devo portarmela addosso, lasciarla dov’è, dove brucia. Tenerla viva come un promemoria: quello che ho visto non riguarda solo loro, riguarda anche me. Riguarda tutti noi. Se abbasso il volume di questo urlo, mento a me stesso e tradisco loro.

Lo confesso: volevo che finisse il prima possibile. Non ho mai pensato che un film dovesse finire così in fretta. Il cuore sbatte. Gli occhi sono pieni fino all’orlo. Una volta, due volte sono stato a un millimetro dallo spegnere tutto, dal fuggire in quella viltà che ci è tanto familiare.

Ma non l’ho fatto. Non potevo. Perché loro non possono spegnere. Loro non hanno il telecomando della propria esistenza.

La macchina da presa si muove tra case rase al suolo, tra famiglie che restano aggrappate alla propria dignità, con ogni fibra del proprio essere, tra soldati che avanzano come predoni su una terra che non gli appartiene. Le parole «apartheid», «espulsione», «occupazione» restano lì, come inchiostro nero su carne viva.

Quando la telecamera si ferma su un bambino che non potrà più tornare a dormire nella stanza dove è cresciuto, o su quel bulldozer che disintegra la scuolina elementare, la rabbia ti sfonda lo sterno, si mescola al senso di colpa, ti allarga un vuoto che non sai dove mettere. Ti ritrovi a chiederti perché tu sei seduto e loro sono lì, a mani nude davanti a quella tracotanza.

E il paradosso è questo: ammiri la loro fermezza titanica mentre cerchi la tua così inconsistente. Allora ti riprometti – no, ti imponi – di triplicare ciò che finora hai fatto, detto, scritto. Perché non è mai sufficiente. Non è mai abbastanza. La misura non la fai tu, la fanno loro. I palestinesi. Con la loro resistenza, con il loro rifiuto di scomparire nonostante tutto congiuri per cancellarli.

In quel brandello di terra sospeso chiamato Masafer Yatta, in Cisgiordania oppressa, No Other Land è una lacerazione che ti scuce da dentro, punto dopo punto. Qualcosa che entra e non esce più.

* da Facebook

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1 Commento


  • Robby

    Condivido pienamente le valutazioni sulle impressionanti immagini di, No other land. Seguire questo lavoro fino alla fine è una prova faticosa. L’informazione ha documentato da tempo l’oppressione del popolo palestinese ma vedere ininterrotte sequenze in cui coloni ed esercito israeliano si scagliano selvaggiamente contro persone inermi, conferma che il tribunale internazionale dovrebbe disporre della forza per prelevare e processare quei delinquenti.

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