I camalli di Genova ‘60… La base di sindacati e partiti del ” Movimento Operaio” istituzionale, costituito, che scavalca i vertici; l’autonomia di classe, l’autonomia operaia, quella autenticamente con l’iniziale minuscola (perché non è appannaggio identitario-proprietario di alcuno), che scaglia le sue prime pietre ed inizia una lunga marcia che dura quantomeno vent’anni anni.
Anni densi e anni caldi, che videro un movimento crescere, lungo tutti i «Sessanta». Un movimento che impara a auto difendersi e lo fa con le unghie e coi denti, nei «Settanta», si auto-determina, contrattacca, attacca, in una polifonia di gesti, miriade di azioni, in tanti modi e pratiche, forme, declinazioni, coniugazioni… è tutta una «prateria in fiamme» che ha preso fuoco da quella prima importante scintilla genovese.
Genova ’60 fu insurrezione contro la provocazione del governo Tambroni, un governo specialmente padronal-democristiano, e – come a chiacchiere scriveva al tempo anche «L’Unità» – “clericofascista” o, ancora meglio…”liberalfascista”.

A sessantacinque anni di distanza, l’Italia è amministrata da… un «fottuto governo fascista», è così che lo risente nel suo sguardo la giovane e solidale Greta Thunberg, che ha tenuto ad esserci, per aprire il corteo dello sciopero generale, in cordone coi camalli.
L’Italia, liberal-fascista lo è ora più di prima. Il fascismo sdoganato, dentro un paese che si nutre di nostalgia per finire ubriaco d’amnesia.
Riarmo selvaggio, respingimenti di massa di migranti e immigrati, detenzioni illegali, il razzismo è ostentato con fierezza a cominciare dai vertici del governo.
Un genocidio commesso alla luce del sole e filmato in diretta non desta neppure più un vago senso di pietà. Come il Mediterraneo, trasformato in un cimitero. Sterminato. Sterminio. Una parassi che non solo è tollerata, ma proprio attivamente sostenuta, quanto alle deportazioni annunciate di interi popoli, sono applaudite e con euforia.
Ma non è tutto. Gli attacchi violenti ai salari, all’impiego, la depressione vertiginosa delle pensioni, la sanità smembrata in nome dell’asservimento delle politiche pubbliche a enormi concentrazioni di ricchezza privata, infine, la sottomissione del Paese tutt’intero alle direttive economiche, culturali e militari imposte dall’imperatore americano.
Un governo dominato dal vigliacco cinismo del vassallo che, sottomesso alla forza dell’impero, si vanta però ancora del suo «patriottismo» e lo fa mentre svende ciò, poco, che resta del Paese, senza curarsi neppure delle bustarelle perse in cammino. Tanto restano sempre nel casato, intanto siamo pur sempre, e più che mai, in un paese di famigli, di padroni e di padrini, in cui mafia è proprio Capitale.

Santificato a programma di governo, un concetto solo sembra risultare chiaro. E’ la paura. Governare utilizzando la paura. La forza di agitare spavento. Insicurezza, maranza, immigrati, migranti, jihadisti, un grande minestrone senza logica né fondo e senza mai omettere di aggiungerci le Zecche rosse, gli «inadattati dei centri sociali». Filastrocche noiose, sorrette da menzogne sempliciotte, ma ripetute in coro da politici e gran parte della stampa, fino a divenire un ritornello.
Bisogna ben occuparsi del “nemico interno”, siamo pur ormai in tempi di guerra!
Ed è così che anche una protesta operaia come quella dei metalmeccanici genovesi, accompagnati in testa del corteo dalla conciliante Cgil, riceve, anche lei, la sua dose di lacrimogeni… aspettando che digos e magistrati si occupino di terminare la missione repressiva. Ormai il servizio è garantito, assicurato, una semplice prassi di gestione.
Esiste poi una immediata, stabilita, tangibile minaccia. Avanza a passi accelerati ed esige, prima, la povertà, la miseria, al popolo e poi gli inevitabile lutti, come ha già ben sottolineato il capo di stato maggiore della vicina Francia. Prima la carestia e poi la carne da cannone, e sempre in nome di un’economia che solo nella guerra trova oggi una garanzia per fare lievitare i profitti multinazionali. Triste futuro.

E però… Che bella sorpresa, risbarcare nella più bella città del mondo, dopo un lungo esilio e ritrovare sempre «Genova Antifascista», e sempre ben presente e che non permette ai ratti neri di scorrazzare impunemente in città e poi… Belin, i Camalli! E così tanti, compatti, come quelli dei lontani racconti. Sono risorti, sono giovani, sono come non fossero mai morti. Non sono soli, divengono punto d’aggregazione di una forma di rivolta che da morale si trasforma in sociale.
«Passare dal rifiuto morale dei crimini dei poteri attuali a una critica radicale contro di essi è un passaggio non immediatamente scontato» sottolinea un’ osservatrice attenta, ma è ben questo che stanno dimostrando i camalli genovesi.
E…. Che piacere sentire l’accento nordico di Greta Thunberg sorridere mentre grida anche lei: “Blocchiamo tutto…” e lo dice in italiano.

Yánis Varoufákis l’ex ministro dell’economia greco che voleva resistere al diktat dell’UE, è anche lui nel corteo, come l’inesauribile e sempre perseverante Thiago Avila che ha addirittura avuto il privilegio di ricevere, nella sua camera d’albergo, il benvenuto della zelante Digos genovese. La proverbiale ospitalità ligure non si smentisce mai.
E la coraggiosa Francesca Albanese che non riesce più a contare le nefandezze che le sono scagliate contro. Un vero e proprio linciaggio politico-mediatico, ma lei non demorde ed è tutta sorridente quando si tuffa, di buon mattino, nella gelida brezza genovese mentre il corteo si è già scaldato.
Perbacco… quanti giovani! Non siamo certo a una sceneggiata d’un sindacato di regime! Genova è sommersa davvero da una potente onda, fresca e combattiva e che scandisce: Noi la guerra non la vogliamo fare e un vaffanculo al governo Meloni.

Partito dal porto di Genova, partito dalla base operaia, un movimento di radicale opposizione si materializza nelle strade d’Italia. Chi se lo aspettava così imponente? E…
Che fare?
Che fare di fronte alle migliaia di persone, di operai, di studenti, di precari, di disoccupati che da settembre continuano ad aderire agli scioperi e manifestano da Genova, dove il 28 erano in diecimila, a Taranto, passando per la recente gigantesca dimostrazione romana che ha radunato centomila persone “contro l’economia di guerra e per la Palestina libera“?

Una scintilla, la luce della lanterna e sessantacinque anni dopo sono ben i giovani, i figli, i nipoti dei vecchi camalli, che si mostrano di nuovo avanguardia. L’eredità operaia non è fatta di spiccioli, è fatta di lotta.
Dimostrazione di tenacia nel bloccare da anni carichi bellici in transito a Genova e poi fiuto, capacità di respirare la straordinaria mobilizzazione di solidarietà che si materializzava nella raccolta degli aiuti per Gaza, imbarcarsi con entusiasmo sulla più grande flottiglia umanitaria e internazionale per tentare di rompere l’assedio totale a cui è condannata la popolazione palestinese e, sopratutto: osare. Lanciare una parola d’ordine che riassume gli obbiettivi immediati; basta con la collaborazione attiva a un genocidio in atto, contro l’economia di riarmo e di miseria: Blocchiamo tutto!
E’ questa istintiva indicazione che diviene realtà concreta quando l’emergenza sindacale che nasce dal basso, quella di base e che non ammette la collaborazione di classe, ne fa bandiera e diviene così la spina dorsale di un movimento che è nato. A Genova, ancora una volta!
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