Netanyahu nel suo viaggio ad Atene ha infatti invitato la Grecia a partecipare al progetto “Leviatano” che consiste nello sfruttamento di alcuni giacimenti marini di gas nel Mediterraneo e nella costruzione di una pipeline che faccia arrivare il gas anche in Grecia.
Secondo Ha’aretz, Israele ha cominciato a corteggiare la Grecia in quanto i legami con la Turchia, un tempo grande alleato regionale, sono peggiorati dopo l’invasione israeliana di Gaza alla fine del 2008 e il sanguinoso blitz dello scorso anno contro la prima Freedom Flotilla e che ha visto nove cittadini turchi uccisi dai commandos israeliani. La risposta del primo ministro greco George Papandreou alla proposta israeliana non è nota, ma il segnale dato in questi giorni con il sequestor delle navi della Freedom Flotilla potrebbe indicare che il governo greco abbia accettato la prospettiva israeliana.
Le stime suggeriscono che il giacimento di gas Leviatano sia due volte più grande di Tamar, altro giacimento al nord, dove il gas è stato recentemente scoperto e si pensa possa essere situato a 5.000 metri sotto il livello del mare. Il volume di gas recuperabile dal Leviatano è di circa 16 miliardi di metri cubi e la probabilità di successo geologico è del 50%, a fronte di un 35% di valutazioni sulla base delle perforazioni effettutate per il giacimento di Tamar. La società del gas israeliana ha bisogno di soldi e di trovare acquirenti, ed anche presto, per migliorare il flusso di cassa. Geograficamente, il mercato più naturale è l’Europa.
Ci sono due modi principali per Israele per accedere a questo mercato. Il primo è quello di costruire un gasdotto sottomarino in Turchia o in Grecia che la connessione a gasdotti previsti dal Turkmenistan e Azerbaigian a sud dell’Europa e le parti est. Questa opzione ha i vantaggi di ovviando alla necessità di costruire infrastrutture terrestri o di liquefazione del gas. Sarebbe anche portare con sé il agevolazioni di credito – o anche sovvenzioni – che vengono con il coinvolgimento dell’Unione europea.
La seconda opzione è quella di rivolgersi al mercato del gas naturale liquefatto. Che rende però necessario o la costruzione di un impianto di liquefazione a Cipro, o l’utilizzo di impianti dell’Egitto per poi spedire il gas in cisterne a clienti in tutto il mondo. Ma in Egitto il problema delle forniture del gas per Israele sta diventando problematico. Il gasdotto è stato già attaccato e danneggiato tre volte in pochi mesi e le autorità egiziane vorrebbero rinegoziare il prezzo di vendita a Israele che fino ad oggi era stato assai inferiore ai prezzi del mercato.
Il gas di Gaza
Il problema dei giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo pone però altri problemi che è importante conoscere, soprattutto per quanto riguarda le pretese israeliane di fare manbassa dei giacimenti in tutto il Mediterraneo sud-orientale. Un dispaccio dell’agenzia di informazioni economiche Radio Cor del 7 agosto 2007 riferiva testualmente
“Secondo informazioni raccolte dal Jerusalem Post presso il gruppo Biritsh gas, il gruppo petrolifero britannico e la speciale commissione istituita dal Governo di Israele avrebbero raggiunto un accordo per lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale offshore localizzati 36 chilometri al largo di Gaza, che, in base agli accordi di Oslo, ricadono sotto la sovranita’ dell’Autorita’ Nazionale Palestinese (Anp). I diritti di sfruttamento dei giacimenti sono stati acquisiti da British Gas sette anni fa. Le riserve contenute sono stimate in 1.000 miliardi di m3 (28 miliardi di m3) per un valore complessivo di 4 miliardi di dollari. In base all’accordo raggiunto le royalties confluirebbero in un conto estero bloccato presso un’istituzione bancaria internazionale, a beneficio del Palestinian Investment Fund, gestito dall’Anp. Secondo fonti British gas la produzione potrebbe essere avviata a partire dal 2009 dopo l’installazione di una piattaforma di produzione e di un gasdotto per trasportare il gas fino ad Ashkelon dove sara’ localizzato l’impianto di raffinazione. Israele attualmente importa il gas di cui ha bisogno dall’Egitto e ha una limitata produzione nazionale”
L’analista canadese Michael Chossudowsky ha spiegato in un recente saggio che “il British Gas Group” (BG) e la consociata greca Consolidated Contractors International Company (CCC), di proprietà delle famiglie libanesi Sabbagh e Koury, avevano ottenuto nel 1999 dall’Autorità Palestinese i diritti di sfruttamento per 25 anni dei fondali di Gaza. Questi accordi riservavano all’Autorità Palestinese il 10 % dei proventi complessivi.
L’accordo prevedeva la costruzione di un gasdotto per sfruttare i nuovi giacimenti, che sono contigui a quelli già esistenti, di proprietà di Israele. La questione della sovranità territoriale sui fondali con riserve di gas – prosegue Chossudowsky – è cruciale. Da un punto di vista legale… queste riserve appartengono alla Palestina, ma la morte di Arafat e il crollo dell’Autorità Palestinese hanno permesso ad Israele di stabilire un controllo de facto sulle riserve sottomarine di Gaza.
Il gruppo BG tratta direttamente con il governo di Tel Aviv, aggirando il governo di Hamas per tutto quel che riguarda i diritti di sfruttamento dei nuovi giacimenti. L’elezione del primo ministro Ariel Sharon ha rappresentato, nel 2001, una svolta cruciale in questa vicenda. Il diritto di sovranità sui giacimenti fu infatti contestato di fronte alla Corte Suprema di Israele, mentre Sharon dichiarava che Israele non avrebbe mai comperato gas dalla Palestina, affermando che le riserve al largo di Gaza appartengono a Israele”. Non solo, secondo un nuovo accordo siglato nel 2007 con la compagnia BG “ prevedeva un gasdotto sotterraneo che portasse il gas direttamente allo snodo costiero israeliano di Askelon, trasferendo di fatto ad Israele il controllo delle vendite del gas naturale di Gaza”.
Il gas conteso nel Mediterraneo orientale
Ma a complicare il quadro c’è anche l’altro fronte della guerra per accaparrarsi i giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale. “Lungo la dorsale del vulcano sottomarino Eratostene ci sarebbe un immenso giacimento che riguarderebbe anche le acque territoriali di Siria, Cipro, Israele”. Di più: una nave oceanografica americana ha rilevato, a Nord di Gaza, fuoruscite di gas e il governo di Israele ha stanziato per le ricerche oltre un miliardo di dollari: è persuaso che ci siano «grandi quantità di metano» segnalava il quotidiano La Stampa tempo fa.
Insomma le navi della Freedom Flotilla violando il blocco navale israeliano contro Gaza, restituirebbero alla sovranità nazionale e al diritto internazionale sia le acque territoriali palestinesi sia quelle internazionali del Mediterraneo orientale oggi ipotecate militarmente da Israele. La Grecia ha scelto la subalternità a Israele piuttosto che la legalità internazionale. E’ un penoso esempio ma è lo specchio dei tempi in cui ci è toccato di vivere. Una fase storica in cui la crisi di sistema (finanziaria, energetica, industriale, ambientale) sta accentuando a tutto campo la competizione globale: dalle risorse energetiche all’acqua, dalla liquidità finanziaria alla forza lavoro a basso costo. In questo senso l’escalation israeliana contro gli attivisti solidali con la Palestina è molto ma molto speculare alla guerra scatenata controla Libia dalle potenze della Nato.
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