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Libia. La Nato bombarda la tv, tre morti

Caero nn si può dire che sia una televisione indipendente e libera. Anzi. Ma che la Nato abbia riteuto “necessario” bombardarla, uccidendo tre giornalisti al lavoro, ha un significato notevole. Il monopolio dell’informazione è l’obiettivo dichiarato della cosiddetta “società libera” cheva a far guerra paesi che non si allineno abbastana velocemente ai suoi diktat e che perciò – fra le altre cose – devono esser privati della possibilità stess di produrre un’informazione diversa. Anche se, ripetiamo, di certo non libera. Se non vi era bastato il ruolo omoloatore dell’impero Murdoch, eccivi qui un altrettanto rumoroso esempio.

Bombe Nato contro la televisione di stato libica per «ridurre al silenzio il colonnello Gheddafi», giornalisti uccisi e feriti, l’emittente che continua a trasmettere con il suo direttore che denuncia «un atto di terrorismo internazionale». Ma gli insorti avanzano, secondo un loro comunicato, verso la roccaforte di Gheddafi tra le montagne occidentali, Tiji, dove sarebbero schierati ancora almeno 500 soldati governativi. Nel contempo a Bengasi il Consiglio nazionale di transizione (Cnt), non avendo ufficialmente chiarito cosa vi sia dietro l’uccisione del generale Abdel Fatah Younes, alleato di Gheddafi fin dal 1969 e inaspettatamente passato con i ribelli a metà febbraio, nomina una «una commissione d’inchiesta» ad hoc. Oggi per la Libia è stata un’altra giornata di guerra e propaganda, senza ‘movimentì diplomatici dichiarati. Chiaro e deciso invece, il video-comunicato dell’Alleanza Atlantica in cui stamane il colonnello Roland Lavoie ha affermato che nella notte gli aerei della Nato hanno messo a tacere «con raid di precisione … tre ripetitori satellitari della televisione libica … per impedire a Gheddafi di usarli per intimidire e incitare ad azioni violente contro il suo popolo». La tv al Jamahiriya in lingua inglese ha però continuato a trasmettere e il suo direttore Khaled Bazilia ha denunciato «la morte, mentre stavano esercitando la loro professione di giornalisti libici, di tre nostri colleghi e il ferimento di altri 15». «Siamo dipendenti della tv ufficiale libica – ha aggiunto – Non siamo un obiettivo militare, non siamo comandanti dell’esercito, non siamo una minaccia per i civili … Abbiamo il diritto di lavorare in luoghi protetti dal diritto nazionale e internazionale». Il portavoce Nato si è limitato a commentare che «non c’è alcuna prova che vi siano state vittime». Intanto la nomina di una commissione d’inchiesta degli insorti a Bengasi sull’uccisione del generale Younes fa seguito ad una ridda di ipotesi e attribuzioni di responsabilità che non hanno affatto chiarito i dubbi. Mentre perde sempre più consistenza l’idea che sia stato Gheddafi a ordinarne l’uccisione, lealisti e insorti fanno rimbalzare la ‘palla del colpevolè dai terroristi integralisti di al Qaida («vogliono aumentare la loro influenza nella regione» dell’Est libico in mano ai ribelli) a un gruppo armato della sua stessa tribù («il capo è stato arrestato, è in carcere ed ha confessato»). Le superpotenze della Nato, Francia, Gran Bretagna e Usa hanno dal canto loro invitato gli insorti alla «prudenza» nelle attribuzioni di responsabilità e «all’unità » in merito all’obiettivo finale di rovesciare Gheddafi. Oggi il Cnt ha annunciato che «in attesa che vengano prese altre decisioni, il capo ad interim delle forze armate di Bengasi è ora Suleiman Mahmoud al Obeidi», uno dei più stretti collaboratori di Younes, appartenente alla sua stessa tribù, quella appunto degli al Obeidi.

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