“Mentre continuiamo a valutare le varianti della risposta da dare all’aggressione iraniana, gli Stati Uniti adottano immediatamente ulteriori dure sanzioni economiche contro il regime iraniano. Queste potenti sanzioni rimarranno in vigore finché l’Iran non cambierà la propria condotta”. Trump ha anche chiesto a Gran Bretagna, Germania, Francia, Russia e Cina di uscire dal Joint Comprehensive Plan of Action, il cosiddetto accordo sul “nucleare iraniano”.
Questo il succo dell’atteso discorso mercoledì di Donald Trump, che non diminuisce certo i timori di ulteriori assalti, violenti e sconsiderati, da parte di Washington, propri di un animale ferito, incapace di valutare la progressiva perdita di forze.
Una perdita di potenza che, sempre ieri, Vladimir Putin e Recep Erdoğan si sono incaricati di rammentargli, dando il via a Istanbul al gasdotto “Turkish stream”, che dà un’altra spallata alle ambizioni statunitensi di tener fuori Mosca dalle forniture energetiche all’Europa. Insieme ai Presidenti russo e turco, erano presenti anche il Primo ministro bulgaro Bojko Borisov e il Presidente serbo Aleksandar Vučič, oltre al Ministro per l’energia russo Aleksandr Novak e al boss di Gazprom Aleksej Miller.
Il gasdotto (lungo 1.100 km, di cui 930 sottomarini) che dalla stazione di pompaggio russa nella regione di Anapa arriva nella zona turca di Kirklareli, si compone di due rami, ciascuno con portata di 15,75 miliardi di m3 annui: il primo ramo, porta il gas al mercato turco; il secondo, ai paesi dell’Europa meridionale e sudorientale. Quali ulteriori mercati, Gazprom vede Grecia, Italia, Bulgaria, Serbia e Ungheria.
Di fatto, scrive la Tass, la cerimonia del 8 gennaio è stata quasi una formalità; e, si potrebbe aggiungere, un malcelato avviso a Washington (tra l’altro, anche la Turchia ha condannato l’assassinio di Qassem Soleimani da parte USA): già dal 1 gennaio, infatti, il gas russo aveva iniziato ad arrivare in Bulgaria e da questa, attraverso la stazione di pompaggio “Strandža-2”, dal 5 gennaio il gas arriva in Grecia e Macedonia del Nord.
Il Ministro Novak si è detto sicuro che, come concordato, entro il prossimo 31 maggio Sofia ultimerà il proseguimento del gasdotto, unendo così anche la Serbia, e, successivamente, l’Ungheria, al “Turkish stream”.
La costruzione del gasdotto lungo il fondo del mar Nero era stata annunciata nel corso della visita di Vladimir Putin ad Ankara a dicembre 2014; quasi annullata nel 2015, dopo l’abbattimento di un Su-24 russo da parte di un F-16 turco, quindi ripresa l’anno seguente, dopo che la Russia, per i problemi sorti con la UE (anche allora, era venuto l’alt di Washington) aveva rinunciato al progetto del “South stream”, dalla regione Anapa, fino al porto bulgaro di Varna e da qui verso Serbia e Ungheria e, potenzialmente, fino a Austria e Italia.
Dopo il protocollo d’intesa tra Gazprom e la società turca di tubazioni “Botas Petroleum Pipeline Corporation”, il relativo accordo intergovernativo, ricorda la Tass, era stato concluso a Istanbul il 10 ottobre 2016 e tra dicembre di quell’anno e gennaio 2017, il documento era stato ratificato dai Parlamenti turco e russo.
“Curioso” notare che la parte sottomarina del “Turkish stream” è stata realizzata dalla svizzera “Allseas”, la stessa che si occupa del “North stream”, e che aveva interrotto i lavori, lo scorso dicembre, quando mancavano da ultimare meno di 50 km per l’approdo in territorio tedesco, all’annuncio delle sanzioni USA inserite da Trump nel National Defense Authorization Act. Una interruzione che, a detta di Gazprom, non può comunque influire ormai sul completamento del gasdotto settentrionale.
Dopo l’inaugurazione del “Turkish stream”, Putin e Erdoğan hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui, oltre ad accennare a Siria, Libia e altro, si parla principalmente di Iran, a tratti con una equidistanza certo di circostanza. “Siamo profondamente preoccupati per l’escalation della tensione tra USA e Iran e per le sue conseguenze negative per l’Iraq. Consideriamo l’operazione USA contro il comandante delle forze speciali Quds del Corpo dei Guardiani della rivoluzione, Qassem Soleimani, il 3 gennaio a Baghdad, un atto che mina sicurezza e stabilità nella regione. Alla luce del colpo portato dall’Iran con missilistici balistici contro le basi militari della coalizione in Iraq, l’8 gennaio, riteniamo che lo scambio di colpi e l’uso della forza da qualsiasi parte non contribuisca alla ricerca di soluzioni per i complessi problemi del Medio Oriente e portino a una nuova spirale di instabilità, senza soddisfare gli interessi di nessuno”.
Si dice anche – abbastanza ipocritamente, visti gli interventi turchi in Siria e in Libia – che “siamo sempre stati contrari a interferenze straniere nei conflitti interni. A questo proposito, dichiariamo il nostro impegno per una de-escalation della tensione nella regione ed esortiamo tutte le parti ad agire con moderazione, mostrando buon senso e dando la priorità ai mezzi diplomatici”.
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