Il mistero sull’uccisione del generale Abdel Fattah Younes, ex fedelissimo del rais e poi capo di stato maggiore degli insorti, si infittisce. Ad assassinarlo sarebbero stati gli stessi ribelli, inviati dal Cnt a prelevarlo sulla linea del fronte, nei pressi di Brega, per essere interrogato a Bengasi.
Lo ha annunciato ieri sera il ministro del petrolio degli “insorti”, Ali Tarhouni, spiegando che il capo miliziano incaricato di ‘accompagnare’ il generale a Bengasi è stato arrestato e ha confessato che sono stati i suoi uomini – ora latitanti – ad uccidere Younes e poi a gettare il corpo fuori città.
Da Tripoli, invece, arriva un’altra versione. Dietro all’uccisione c’è al Qaida, ha detto il portavoce del regime libico Moussa Ibrahim, spiegando che «con quest’azione, Al Qaida ha voluto marcare la sua presenza e la sua influenza in questa regione». Nessun «martire» assassinato da Gheddafi, quindi, come si erano affrettati ad assicurare esponenti del Consiglio nazionale di transizione libico, ma un assassinio di cui non si conoscono ancora dinamica e ragioni, che avvalorano tuttavia le ipotesi, circolate da subito, di una qualche forma di regolamento di conti tra gli insorti. Forse perchè il generale era sospettato di tradimento e traffico d’armi a favore dei governativi fedeli a Gheddafi. O forse per la rivalità, durata mesi, con un altro capo militare, Khalifa Hifter.
Nonostante la guerra in atto, nonostante la confusa sequenza di avanzate e ripiegamenti di lealisti e ribelli, di defezioni e passaggi di campo, di fronte a un caduto eccellente come Younes i dubbi erano giustificati. Anche se un alto responsabile del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) sotto anonimato si era detto certo che «l’intervento di Gheddafi in questa vicenda è molto chiaro». E avevava minimizzato i rischi di dissenso tra le fila dell’opposizione o di regolamento di conti da parte delle tribù, compresa quella di Younes. «La gente – aveva sottolineato il responsabile dei ribelli – sa che queste divisioni fanno l’interesse di Gheddafi. Anche la gente della sua tribù è stata ragionevole, consapevoli che si è trattato di una trappola di Gheddafi per crearci problemi».
A dare una mano alla prima versione di Bengasi, la folla che ha partecipato ai funerali. «Il sangue dei martiri non sarà versato invano», ha urlato il migliaio di persone che si è raccolto attorno al feretro, che è stato bruciato. Il fatto, comunque, è che la morte del generale costituisce un duro colpo, politico e militare, per Bengasi, priva di una figura di riferimento ben conosciuta anche fuori dai confini libici. Prima di passare dalla parte degli insorti, in febbraio, Younes, 67 anni, era stato il numero due di Gheddafi, suo compagno d’armi e ministro dell’interno, specializzato nella repressione del dissenso.
Intanto nella capitale piovono bombe. «Stanno intensificando i bombardamenti, non so il motivo – testimonia il vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli – Forse aspettano qualche decisione da parte di Tripoli, ma non credo che sia così facile far cedere il leader. Gheddafi sembra essere ancora forte e non mi sembra che le bombe serviranno a piegarlo». Oggi a Tripoli, per documentare la «difficile situazione nella capitale libica», è arrivata una delegazione dell’agenzia Hostessweb, che nelle ultime visite del colonnello a Roma ha radunato centinaia di ragazze e ragazzi per diversi incontri con il Rais.
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