Un numero imprecisato di civili siriani, tutti uomini, sono stati uccisi in un attacco dei ribelli contro gli abitanti della zona costiera siriana, a maggioranza alawita e minacciata da una crescente presenza di miliziani sunniti di diversi Paesi arabi e musulmani. Il crimine è avvenuto all’inizio di agosto in una decina di località sulle montagne nella Siria occidentale, lungo il confine tra il Jabal al Akrad, a maggioranza sunnita, e le propaggini montagnose, a maggioranza alawita. Le fonti interpellate dall’ANSA, che secondo l’agenzia di stampa “si occupano di monitorare le violazioni dei diritti umani commessi da ogni parte coinvolta nel conflitto in corso”, lavorano alla raccolta di prove che confermino quanto denunciato da attivisti filo-regime. Tra il 4 e il 5 agosto, nei villaggi di Ambato, Talla, Beit Shakkuhi, Balluta, Esterba, Abu Mekka, Hanbushiya, Baruda, Kharrata e Baramse, sono piombati centinaia di miliziani appartenenti a varie sigle jihadiste, tra cui lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) e la Jabhat an Nusra. Composti per lo più da mujahidin ceceni e di varie nazionalità, questi gruppi gravitano nella galassia di Al Qaeda e sono sempre più ostili nei confronti anche di alcune brigate dell’Esercito Siriano Libero (Esl) ritenute laiciste. Nell’attacco, ”la maggior parte degli uomini sono stati uccisi, mentre le donne e i bambini sono stati portati in località sconosciute”. Le fonti del governo di Damasco avevano affermato che ”centinaia di persone sono state trucidate”. Nelle liste pubblicate dai siti lealisti compaiono circa 250 persone, indicate per lo più come ”scomparse”. Una trentina sono ”martiri”. In un video del 12 agosto, una delle donne rapite parla, probabilmente sotto la pressione dei carcerieri: ”Siamo in 105 e siamo detenute dai mujahidin. Non ci liberano fino a quando non verranno liberati i loro compagni imprigionati dal regime. Ci trattano bene, ma chiediamo alla comunità internazionale e alle autorità (siriane) che ci liberino”. Diversi osservatori siriani e stranieri avevano da tempo messo in guardia la comunità internazionale dal pericolo di sanguinose rappresaglie contro gli alawiti – branca dello sciismo – da parte delle frange più estreme delle milizie anti-Assad, espressione del sunnismo.
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