Chi sono i nemici di Bashar Assad? Chi i membri del fantomatico Consiglio Nazionale Siriano? Uno di loro è stato intervistato dalla stampa turca. E’ il medico Khaled Khoja nato a Damasco da famiglia di origine anatolica e dal 1982 fuggito dalla Siria per una condanna capitale. Tre anni prima era finito in prigione perché suo padre aveva partecipato alla rivolta di Aleppo finanziando il gruppo dei Fratelli Musulmani. Dall’inizio delle rivolte dello scorso marzo Khaked è diventato uno dei leader del Comitato della Dichiarazione di Damasco, una struttura dell’opposizione al regime sorta nel 2005. Nel colloquio parla degli incontri avuti a Istanbul con altri siriani, in genere intellettuali e professionisti come lui, che cercano un rapporto con le rivolte di piazza. Gli viene chiesto in che modo possano avere contatti e soprattutto rappresentarle. Afferma deciso “Ci sono tre gruppi che organizzano le sommosse – Fratelli Musulmani, curdi e cristiani – e sono tutti presenti nel CNS”. Rispetto a un recente incontro di oppositori che s’è tenuto nella metropoli sul Bosforo Khoja sostiene che la Turchia non li stia favorendo, anzi. “Quando alcuni siriani filogovernativi, forse agenti dei Servizi, hanno cercato di tenere un meeting ad Antalya per sabotare il nostro hanno ricevuto lo spazio per farlo, come unica precauzione un differente hotel”. L’autrice dell’intervista, Barçin Yinanç, che lavora per un giornale filo governativo insiste e chiede se la Turchia stia dando un supporto all’opposizione siriana. Khoja nega ancora. Per loro l’unico vantaggio di stare lì, oltre a una vicinanza alla patria nella caldissima fase che attraversa ”è avere la disponibilità di visti per i passaporti, cosa divenuta difficile ad esempio in Francia dove non si può organizzare nulla. Esistono difficoltà anche al Cairo dove alcuni amici sono stati attaccati da sostenitori di Asad”.
Deve ammette però – in fondo l’intervista serve a questo – che la Turchia offre visibilità e ascolto attraverso i media, cosa finora impossibile altrove. Gradualmente Khoja si scioglie e le risposte alle successive domande evidenziano il ruolo tutt’altro che secondario assunto dal governo Erdoğan nella crisi siriana “Il Consiglio Nazionale Siriano ha avviato i rapporti con la locale leadership, siamo stati ricevuti dal ministro Davutoğlu”. E prosegue esaltando l’azione diplomatica turca mossa da un sentimento morale per evitare ulteriore spargimento di sangue. “Il CNS è contrario a un intervento militare simile a quello visto in Libia e guarda all’unità della rivolta senza escludere nessuno. Lancia un messaggio anche ai tre pilastri del regime: l’esercito, il partito Baath e i suoi finanziatori affinché abbandonino gli Asad”. L’oppositore esclude rappresaglie etniche contro gli alauiti che sostengono Bashar come sostenevano suo padre Hafiz. Khja si augura “un processo di transizione pacifico senza l’uso delle armi (sic), siamo contro la guerra civile ed etnica, una volta caduto un regime basato sul controllo delle Forze Armate e delle Intelligence il CNS si scioglierà”. Non manifesta alcun timore d’insorgenze fondamentaliste: s’è visto in Tunisia, si vede in Egitto la transizione può davvero essere democratica. Agogna un modello islamico non ideologico che abbracci una cultura globale. Eppure gli intenti pacifici del dottor Khoja s’infrangono su una domanda sul Libero Esercito Siriano. Amette che viste le loro scarse munizioni i militari disertori potranno avere maggiori “chances se verrà istituita una no-fly zone o un territorio cuscinetto che potrà favorire nuovi abbandoni fra i pro Asad”. Nonostante i propositi anti tiranno forse il fantasma libico è dietro l’angolo.
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